Beppe Fenoglio. Anziani

26 Luglio 2022

A cent’anni dalla nascita (1° marzo 1922), la produzione letteraria del solitario Beppe Fenoglio continua ad avere ancora molto da dire e da rivelare, come mostrano le numerose riflessioni e i vari studi condotti sui suoi scritti.

Anche la recente esibizione “Beppe Fenoglio, una maniera di metter fuori le parole”, di recente inaugurata ad Alba in occasione dei festeggiamenti per il centenario, si colloca in questo desiderio di riscoprire la figura dell’autore piemontese passando per le voci che meglio ne rappresentano l’esistenza come partigiano e scrittore. “Partigiano e scrittore” sono, non a caso, le due parole scelte per commemorare Fenoglio nel cimitero di Alba in cui è seppellito e che consentono di mostrare chiaramente come la Resistenza e la scrittura si siano sempre mescolate nella vita dell’autore in un canto corale in grado di raccontare la vicenda partigiana nella sua totalità, senza alcuna esclusione. 

Nonostante, infatti, l’indubbia importanza e l’assoluta centralità assegnata nei propri scritti ai partigiani, Fenoglio ha narrato e dato voce anche ad altre figure come quelle dei ‘non combattenti’, personaggi che, pur senza imbracciare le armi, hanno comunque rivestito un ruolo fondamentale nella Resistenza italiana.

Nell’ambito di quella che lo storico Santo Peli ha definito “la resistenza disarmata”, i non combattenti sono in effetti figure emblematiche e necessarie per comprendere come il periodo compreso tra il 1943 il 1945 possa essere considerato il “momento di fusione e di riscatto di tutto il popolo italiano, stretto intorno ai suoi partigiani”. Attraverso l’uso del corsivo per gli aggettivi “tutto” e “suoi”, Peli ha sottolineato l’impegno collettivo dell’intera nazione alla causa resistenziale, un impegno e un contributo che è stato, tuttavia, per lo più taciuto e ignorato.

Non però da Fenoglio, per il quale la Resistenza non ha mai rappresentato, come evidenzia Gabriele Pedullà, una moda o un “argomento per un libro di attualità e di facile successo”, ma è stata al contrario sempre vissuta come impegno totalizzante e assoluto (“partigiano, come poeta, è parola assoluta” scriverà infatti in Il partigiano Johnny). Senza cedere il passo alle “scorciatoie invitanti della retorica partigiana”, Fenoglio ha dunque raccontato la Resistenza nella sua totalità, senza artifici retorici, e questa sua assenza di magniloquenza e di toni eroici si rileva anche nell’attenzione data alle figure minori, generalmente considerate marginali. 

Tra queste, gli anziani e le anziane, dei quali ci si può chiedere sia il ruolo assunto all’interno della guerra partigiana sia quello rilevato e annotato da Fenoglio, che li descrive nei suoi scritti con particolare cura e attenzione. Quale, in particolare, è il significato che lo scrittore partigiano assegna agli anziani? E come questi sono presentati nelle sue pagine?

Senza voler ignorare l’importanza di romanzi come Primavera di bellezza o Una questione privata (la cui centralità era già stata riconosciuta da Italo Calvino nel 1964, e di cui peraltro non può non essere ricordato il ruolo svolto dall’anziana custode della casa di Fulvia, dalle cui parole scaturiscono i dubbi e le conseguenti azioni del protagonista Milton), è sul postumo Il partigiano Johnny (1968) che si intende qui porre principalmente l’attenzione. Più precisamente, la presenza e l’importanza degli anziani sembra rivelarsi con ancora maggiore forza simbolica in Il libro di Johnny (2015), l’edizione con cui Gabriele Pedullà si è inserito nella discussione filologica da sempre legata alla vicenda editoriale di Il partigiano Johnny, restituendogli quella portata epica, quella “vocazione per l’epos partigiano” e quell’aspirazione al “libro grosso” a cui l’autore aveva guardato con ambizione per tutta la vita.

Rispetto alle edizioni di Lorenzo Mondo (1968), di Maria Corti (1978) e di Dante Isella (1992) – che, in maniera differente, avevano lasciato tutte “l’appassionato di Fenoglio con un desiderio insoddisfatto” – quella di Pedullà trova infatti una strada differente.  “Chiunque legga sia Primavera di bellezza sia Il partigiano” spiega lo studioso, “si rende […] conto che le due storie sono state concepite per stare assieme, e viene preso dal desiderio di unire i due libri. Un’operazione del genere, tuttavia, è inconcepibile per qualsiasi filologo che si rispetti, perché significherebbe violare la volontà dell’autore [...]

Fortunatamente c’è però un’altra possibilità. Dal momento che tra le carte di Fenoglio ci è pervenuta pure la primissima versione di Primavera di bellezza, che corrisponde alle circa duecento pagine che nel 1958 lessero Citati e Garzanti, possiamo unire quella stesura (dove Johnny non muore) alla redazione più antica di quello che è stato battezzato da Mondo Il partigiano Johnny e in tal modo ricostruire finalmente il continuum narrativo originariamente immaginato da Fenoglio per il suo alter ego”, un continuum narrativo che svela chiaramente la portata epica del romanzo. 

In questa prospettiva, che alla guerra della Resistenza unisce la dimensione omerica e virgiliana, non è solo l’esperienza partigiana ad assumere una valenza sublime, ma tutti i suoi personaggi, anche quelli apparentemente relegati al margine della narrazione. Per spiegare l’interesse che le figure dei “non combattenti”, e più nello specifico quelle degli anziani, rivestono all’interno della scrittura di Fenoglio, è sufficiente partire dal loro primo apparire all’interno del romanzo.  È infatti fin dalla prima citazione (“E Johnny andò a lettere, sotto il portico vuoto, sussurrante, sapente di invisibili ragazze.

Il vecchio monumentale bidello gli rintracciò e porse il libretto delle firme, accogliendo la solita moneta d’argento nella grande mano appassita”), che emergono con immediatezza alcuni degli elementi su cui lo scrittore maggiormente concentra la propria attenzione nel descrivere e presentare la categoria dei vecchi; primo fra tutti, il fatto che questi possano essere immediatamente riconosciuti dai lettori non solo dalle loro caratteristiche fisiche e comportamentali, ma anche dal fatto che vengano esplicitamente definiti come tali dallo stesso narratore.

Le descrizioni degli anziani appaiono infatti spesso precedute dalla menzione che li apostrofa come vecchi, vecchierelli, anziani, procedimento che appare ancora più interessante poiché impiegato da Fenoglio non solo per le descrizioni dei vecchi e delle vecchie, ma anche per quelle di altri personaggi, più o meno rilevanti all’interno delle vicende narrate. Dopo la loro menzione, gli anziani vengono per lo più descritti attraverso il riferimento ad alcune parti del corpo, quelle che meglio servono a rendere l’idea del decadimento fisico della vecchiaia, per altro ulteriormente enfatizzata dall’aggettivazione.

Così, ad esempio, gli attributi impiegati per la descrizione dei volti richiamano l’idea del trascorrere del tempo e del peso degli anni (la faccia del ferroviere che appare nei primi capitoli del libro è «affumicata», quella del libraio «stagionata», «consunta» quella dell’ufficiale e «vecchia e viziosa» quella dell’avvocato fascista Cerruti), e lo stesso accade con quelli che indicano la mano, altra parte del corpo a essere ben rappresentata nelle descrizioni di Fenoglio.

La mano è «bianca» nell’usciere del municipio che si presenta in casa dei genitori di Johnny per avvertirli del pericolo imminente, «appassita» nel bidello all’ingresso della scuola, «orrida e sformata» nel vecchio avaro, e «greasy» in quella della vecchia della Cascina, la contadina ispirata a Rina Rabino e probabilmente la figura di anziana più importante dell’intero romanzo. Di quest’ultima vengono inoltre evidenziati gli occhi, il dettaglio fisico che consente al lettore di comprendere il cambiamento verificatosi nell’anima della donna a seguito della tragica esperienza di prigionia, così da distinguere nettamente tra un prima e un dopo.

Se, infatti, la proprietaria della cascina viene inizialmente descritta come una donna audace e forte, una volta rientrata a casa appare radicalmente mutata (“La vecchia apparve, spossata e tremebonda, quanto mutata dalla vecchia, coraggiosa, impenitente vivandiera!”) e il cambiamento viene esplicitamente sottolineato attraverso il dettaglio degli occhi (“ed i suoi lineamenti erano arditi e ottimistici come sempre, ma i suoi occhi erano mutati, conoscevano ora una radicale, guardinga, spaventata animalità”).

Il riferimento allo sguardo sembra dunque avere una forte rilevanza in Fenoglio che, al di là dell’età dei personaggi descritti, ne sfrutta la portata espressiva per dare risalto all’interiorità e alle caratteristiche morali ed etiche dei personaggi, altrimenti verificabili solo nelle e dalle azioni pratiche. È il caso, per esempio, dei due professori Cocito e Chiodi, le cui differenze emergono non solo tramite le argomentazioni in merito al significato della parola “partigiano”, ma soprattutto attraverso la diversità dei loro occhi, e in più particolare, delle loro pupille: 

E Cocito […] era occhialuto come Chiodi: ma a Chiodi le lenti rivelavano, magnificavano la pupilla in una tersità cristallina, mentre le lenti di Cocito avevano effetto intorbidante per l’osservatore, gli sfumavano la pupilla in una chiazza misteriosa” (II, 2). 

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Oltre al riferimento agli occhi, alle mani e al volto, tra gli altri elementi maggiormente impiegati nella descrizione degli anziani vi sono poi il modo di camminare (che, unito alla mancanza di forze, rende in misura perfetta l’idea della vecchiaia), il colore e l’aspetto della barba e i capelli, il più delle volte contraddistinti dal colore bianco o argenteo.

A una lettura più attenta emerge inoltre come l’attributo «meraviglioso» riferito ai capelli degli anziani sia presente solo due volte, e in entrambi i casi per delineare una figura legata al mondo militare: l’ufficiale tedesco del primo capitolo e il colonnello e comandante del presidio di Alba nel primo periodo successivo al ritorno dei fascisti in città.

La prima attestazione (riferita al personaggio del tedesco) si ritrova nella parte iniziale del romanzo, nell’episodio della stazione in cui Johnny cerca di tornare a casa dopo il tracollo dell’8 settembre 1943; dell’ufficiale vengono descritte la corporatura abbondante, la faccia consunta, e, appunto, i «meravigliosi capelli d’argento», dettaglio che lo accomuna al colonnello F. Palomba, la cui rappresentazione appare tuttavia differente. Questi viene infatti descritto con «occhi tristi e la bocca disperata», caratteristiche utili a Fenoglio per porre in risalto l’umanità dell’uomo, resa ancora più evidente dalle parole e dalle opinioni degli altri soldati del carcere che lo definiscono come “il migliore degli uomini, un gentiluomo e un padre di famiglia”. 

Attraverso il riferimento alla famiglia del colonnello e al giudizio dato nei suoi confronti dagli altri soldati, Fenoglio lascia intravedere il discorso sul ruolo svolto dagli anziani, la cui funzione risulta maggiormente approfondita nella seconda parte del romanzo. In realtà, sebbene i primi anziani a comparire nel testo non sembrino avere una loro specifica funzione e importanza ai fini dello svolgimento della narrazione (in questo senso, l’anziano addetto della «libreria di Via...», la «vecchia nana dalla capigliatura verdognola», il «bidello della facoltà di lettere» assumono tutt’al più il ruolo di semplici comparse, utili per soffermarsi su alcuni aspetti evidenziati probabilmente dall’autore per meglio ribadire le passioni di Johnny), si può ricordare l’importanza di due personaggi che, seppur destinati ad uscire di scena nelle righe successive, portano ad emergere quel ruolo di aiuto e di sostegno su cui Fenoglio si soffermerà più ampiamente in un secondo momento.

Il volto del «vecchio, corpulento, intontito» ferroviere al quale Johnny si rivolge per conoscere il binario dal quale sarebbe partito il treno per il Nord, si illumina di “amore paterno” non appena si accorge di avere di fronte un soldato italiano in fuga dai tedeschi (siamo nel momento immediatamente successivo all’8 settembre), e così anche la «vecchia signora, alta poco meno di lui» la quale, rivolgendo al protagonista un “fulmineo sguardo di intesa”, gli permette di prenderle la valigia così da attraversare con lei “quello sbarramento mobile” di soldati nemici senza dare nell’occhio.

La funzione di aiuto e sostegno, qui appena accennata, appare più evidente nei capitoli successivi, dove con maggiore frequenza entrano in scena le figure dei vecchi e delle vecchie, mostrate in particolare nel loro rapporto con i partigiani. Gli anziani sono infatti le persone a cui questi ultimi generalmente si rivolgono per ottenere cibo e animali, sostegno e aiuto: è il caso del vecchio contadino “sgrassato ed evoluto da decenni di mezzadria a grande famiglia cittadina: grezzo ma disinvolto, e del tipo patrocinatore della gioventù” che avverte Johnny della presenza ad Alba della Muti, e l’anziano che fornisce a Johnny del sapone per potersi lavare. Particolarmente interessante è poi il personaggio della vecchia proprietaria della Cascina delle Langhe, la figura femminile descritta da Fenoglio nel suo ruolo di protettrice dai tratti evidentemente materni:

Un ragazzo si lamentò di fame e Pierre li guidò nel deserto della Cascina della Langa dove sempre c’era stato, ed anche stanotte, ricetto e nutrimento per i partigiani. Perché la padrona era una delle più forti e audaci e cupide donne delle colline, e dava da mangiare alle squadre e brigate in transito, ed alla fine d’ogni mese presentava il conto a Nord, che sempre pagava al centesimo. E lei li avrebbe ospitati e nutriti anche coi tedeschi salienti per il sentiero, e i fascisti sbucanti nella sua propria aia (II, 27).  

L’importanza della donna, che nella citazione viene ricordata sia per l’ospitalità e la capacità di accudimento nei confronti dei partigiani sia per la sua forza e il suo coraggio, emerge ancora nei capitoli successivi, quando racconta a Johnny dell’esperienza di prigionia con toni che ricordano quelli epici dell’Odissea. Nel suo discorso sembra infatti di sentire un’eco delle parole pronunciate dal vecchio Nestore al giovane figlio di Ulisse quando questi muove alla volta di Pilo per ottenere informazioni sul padre lontano (Odissea, canto III). Dopo aver riconosciuto Telemaco, Nestore inizia a rammentare quello che sa, ricordando tutto nonostante la vecchiaia, perché, come suggerito da Matteo Nucci nel suo Le lacrime degli eroi (2013), “la memoria forma l’uomo e l’uomo quando è molto vecchio ha più ricordi di chiunque altro e in questo sta buona parte della sua saggezza e della sua capacità di consiglio”.

Tuttavia, malgrado l’apparente somiglianza – entrambi i personaggi sono chiamati a ricordare un evento vissuto che aiuterà l’azione successiva dei protagonisti – la funzione che viene data dall’epica alla memoria e al ruolo del vecchio come custode di essa non si ritrova con la stessa intensità in Fenoglio, e lo stesso può dirsi per il ruolo di guida che gli anziani sono chiamati a svolgere. Sono solo due, infatti, le figure sagge di anziani che sembrano svolgere una funzione di consiglio e guida in Il libro di Johnny: la prima fa riferimento all’anima del defunto suocero del napoletano Salvatore Pezzullo, interpellato tramite seduta spiritica per sapere “qualcosa di preciso sulla fine della guerra”, e la seconda al mugnaio di Manera, il quale cerca di convincere Johnny ad abbandonare la causa partigiana.

Entrambi gli episodi mostrano però i loro ‘limiti’: nonostante ad essere richiamata sulla terra, in una sorta di catabasi al contrario, sia proprio la figura di un anziano, l’episodio del suocero defunto appare chiaramente parodico e come tale deve essere letto (considerando in particolare il fatto che la seduta spiritica sia stata organizzata da un meridionale, verso i quali Fenoglio non dimostra di nutrire particolare simpatia), e lo stesso accade in quello del mugnaio. Il ruolo di guida viene qui infatti capovolto da Fenoglio, e l’idea che la saggezza dell’anziano possa essere accolta e seguita dai giovani rovesciata. 

I consigli del vecchio (“Da’ retta a me, Johnny. La tua parte l’hai fatta, la tua coscienza è sicuramente a posto. Dunque smetti tutto e scendi in pianura”) non vengono infatti seguiti da Johnny che, rifiutando il consiglio dell’anziano e discostandosi dal suo pensiero, trova proprio in questa situazione l’occasione per poter ribadire ancora e pienamente quella scelta totale dell’essere partigiano che non è poi altro che la scelta assoluta assunta dallo stesso Beppe Fenoglio e mai più abbandonata: 

Johnny sollevò il catenaccio. – Voi siete un uomo con una sana e matura vecchiezza di mente. Ma capite questo, che io non diventerò mai un uomo anziano come voi, se ora dicessi di sì, e questa sarebbe una maniera di dir sì, quando da uomo giovane ho giurato di dir no fino in fondo? (II, 39).

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