Le protagoniste di García Márquez

17 Aprile 2024

Dalle segrete di uno dei più amati scrittori latinoamericani, viene oggi alla luce Ci vediamo in agosto, l'ultima opera di Gabriel García Márquez, pubblicata a dieci anni dalla sua morte e contro la volontà dell'autore. Milioni di persone di tutto il mondo accorreranno all'appuntamento con questa nuova eco della voce ineguagliabile e ancora viva di “Gabo”, per curiosità, ammirazione o per non perdersi l'evento editoriale del decennio. La curiosità dei lettori troverà soddisfazione e l'entusiasmo bilancerà con indulgenza le aspettative che il libro non potrà realizzare, perché, nonostante le promesse della monumentale campagna che ne ha preceduto la pubblicazione, noi lettori sappiamo che il maestro dichiarò il testo inconcluso e scelse di sottrarlo all’equazione che avrebbe stabilito l'entità del suo lascito. D'altra parte, in un mondo in cui finalmente la comprensione delle relazioni di genere e del loro legame con il potere è in evoluzione, è probabile che il tema cui García Márquez ha dedicato la sua ultima opera narrativa – le avventure extraconiugali di una signora perbene – lo sottoponga a un nuovo esame. L'epitaffio di Gabo è la “moderna esplorazione della sessualità femminile” promessa dai suoi emissari?

Anche se può sembrare una svolta inattesa, il desiderio delle donne non è un tema nuovo per García Márquez. Dalle ferree discendenti di Úrsula in Cent'anni di solitudine alla furiosa Sierva María in Dell'amore e di altri demoni, tutta la sua opera è piena di giovani donne eroticamente curiose in lotta contro convenzioni limitanti. In genere la loro resistenza ha un finale amaro, e le donne che osano fare il “passo falso” vanno incontro a pesanti castighi, perché le loro voglie si scontrano con l'incapacità degli uomini di rinunciare al privilegio di imporre la propria volontà, e perché per l'autore era difficile concepire personaggi femminili il cui proposito non fosse sopperire ai bisogni dei suoi eroi.

Dopo le anticipazioni di Ci vediamo in agosto pubblicate in vita, mi intrigava capire se la scelta della protagonista annunciasse un cambio di prospettiva riguardo il ruolo delle donne, fulcro delle mie ricerche sull'opera di García Márquez. Ho letto, perciò, i manoscritti inconclusi fin dalla mia prima visita all'archivio dell'Harry Ransom Center di Austin. Poiché l'autore aveva deciso di non rendere pubblico il romanzo, mi sono astenuta da ogni commento nelle mie precedenti pubblicazioni.

Le recenti letture della versione editata hanno confermato le mie prime impressioni. Il testo mostra l'impronta di un inarrivabile raccontatore di storie. È ancora stupefacente la sua capacità di descrivere con tre pennellate gli amanti della protagonista, rivelando in pochi gesti le loro ferite e le loro cicatrici. Traspare, al tempo stesso, il dolore del Caribe, con i suoi paesaggi esuberanti, i suoi leader voraci, i suoi paesi consumati e i suoi turisti ansiosi di stendersi su un corpo altrui. Si notano, d'altro canto, reiterazioni e tracce di versioni precedenti di sé stesso che l'autore non è riuscito a nascondere, luoghi comuni e altre sviste che, dopo aver letto centinaia di pagine delle sue bozze, credo che ai tempi d'oro non si sarebbe mai concesso. Concordo quindi con chi invita ad accogliere Ci vediamo in agosto con la generosità dovuta a un grande scrittore che non poteva più reggere i suoi soliti, vasti paesaggi creativi, ma aveva la lucidità e l'umiltà per riconoscerlo.

Fatta questa premessa, entriamo nella storia. Ci vediamo in agosto racconta il viaggio di una professoressa di letteratura sui quarant'anni che, nel corso della sua ottava visita annuale a un'isola esotica per depositare fiori sulla tomba di sua madre, sente nascere un desiderio di avventure sessuali. Rosa dal dilemma morale, Ana Magdalena prova a tornare sulla retta via, ma finisce per concedersi un'avventura all'anno. Alcuni sottili dettagli, come l'ambiguità di fronte all'infedeltà del marito, l'eclettico repertorio di letture e il conflitto con una figlia “indomabile” rivelano le pieghe nascoste di una protagonista che è più un bozzetto che un ritratto. Non riusciamo, tuttavia, a distinguere i desideri che ne hanno generato l'improvvisa appetenza, perché nemmeno lei sembra avvertirle fino alla notte in cui, sotto l’effetto dell'alcol, ha un rapporto con uno sconosciuto.

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La trama si complica quando Ana Magdalena scopre che la ragione per cui sua madre ha voluto essere sotterrata sull'isola era stata una relazione con uno sconosciuto che continua a inondare di fiori la sua tomba. D'altra parte, sospettava già da prima che la scelta di Micaela, sua madre, nascondesse un messaggio che lei era destinata a scoprire. Lo svelamento di questo segreto è il climax del romanzo, la cui tensione più inquietante non è nell'improvviso malcontento coniugale di Ana Magdalena, ma nella lotta sotterranea con sua madre e sua figlia, che ha ereditato il nome e l'impeto della nonna. L'autore sembra intravedere gli abissi che dividono le tre generazioni con al centro la protagonista, eppure sceglie di concludere il romanzo con la decisione impulsiva di Ana Magdalena di esumare i resti della defunta, in un flagrante tradimento della volontà della madre e di sé stessa, siglato con l'abbandono finale dell'isola e il ritorno dal marito. Di fronte a questo epilogo continuo a credere, come ammesso dallo stesso autore, che la storia sia incompleta, non perché manchi un finale, ma perché quello che ha è una risoluzione brusca e poco convincente di un conflitto che non viene esplorato a fondo.

Quanto succede ad Ana Magdalena rappresenta l'evoluzione del pensiero di García Márquez sul desiderio femminile. Le decisioni della madre hanno rivelato alla protagonista la sua stessa insoddisfazione e almeno un cammino per scongiurarla, eppure non solo sbaglia strategia scegliendo di collezionare un amante per ogni viaggio ma, dopo un paio di tentativi frustrati, decide anche di darsi per vinta. A quel punto, la focosa vita erotica che aveva caratterizzato il suo matrimonio prima delle varie avventure – e prima di ammettere quelle del marito – è ormai rovinata. Al tempo stesso la figlia, “una discola affascinante”, musicista e amante di un trombettista mulatto, decide di immolarsi in un convento, con una testardaggine che lo scrittore non si degna di spiegare. È difficile non vedere in questa doppia regressione l'ennesimo monito sulla persecuzione del piacere femminile. Non a caso, dopo la prima avventura di Ana Magdalena, il narratore annuncia che la protagonista “che era sempre andata per la vita senza guardarla… aveva iniziato a vederla con gli occhi della lezione appresa”.

Confesso di non essere mai riuscita ad accettare i destini delle donne desideranti nei libri di Gabo. Né di quelle che entrano in convento – come Meme, Sierva María e la seconda Micaela –, né delle morte dissanguate – come Amaranta Úrsula e la Nena Daconte –, né di quelle che osano sfidare il vincolo del matrimonio per poi tornare contrite dai loro legittimi sposi – come nel caso di Ángela Vicario e di Ana Magdalena Bach. L'unica eccezione sarebbe Fermina Daza, se non fosse che si innamora di un ipocrita che, mentre la corteggia, piange di nascosto per il suicidio della bambina che è stata la sua ultima conquista. È chiaro che nessuno di questi finali è inverosimile, a giudicare dalla catena di violenze intime e pubbliche che continuano a segnare l'espressione sessuale delle donne reali nell'America latina di questo secolo. Mi è difficile capire, però, come uno scrittore che poteva vedere tanto brio nei suoi personaggi femminili non sia riuscito a immaginare per loro un destino migliore.

Ci vediamo in agosto è una storia sul desiderio femminile? Una, forse, tra le tante possibili, credo più affine alle fantasie dei lettori contemporanei allo scrittore che alle lettrici di questo secolo. Per me è piuttosto una conferma delle profonde contraddizioni di García Márquez quando scrive di donne. Il romanzo è il testamento di uno scrittore che poteva concederci desiderio ma non autonomia sessuale, che poteva intravedere i nostri aneliti occulti, ma non concepire che potessimo realizzarli, che poteva ammettere la nostra influenza sugli altri, ma che era intimidito dalla nostra indipendenza dagli altri, che poteva capire che noi donne volevamo più dei nostri uomini, ma non che nelle nostre vite volevamo qualcosa in più della sola compagnia degli uomini.

Non sarò di certo l'unica lettrice a diffidare del profilo della “madre autunnale” anacronisticamente collocato nel crepuscolo dello scorso millennio, e nemmeno della rassegnazione attribuita a madre e figlia, che così poco riflette le passioni di cui sono padrona e testimone tra le donne della mia età, la stessa di Ana Magdalena. Ad ogni modo, faremmo male noi lettrici di adesso ad aspettarci che uno scrittore del secolo scorso definisca il nostro cammino verso la libertà, che sia sessuale o di qualsiasi altro genere. O ad ignorare quel che la sua opera ha ancora da insegnarci. Sono un'ammiratrice convinta dei grandi classici di García Márquez, i cui avvertimenti contro la capacità autodistruttiva della nostra specie risuonano profondamente nel mondo di oggi. Il suo lascito è uno straordinario documento del più pericoloso dei desideri, quello di potere, anche se l'autore non è riuscito a comprendere l'intima complicità fra le sue protagoniste e la violenza generata da questo desiderio. Lo scrittore di questi profondi paradossi è quello che continuo a insegnare e a studiare, con rispetto, affetto e rigore.

In attesa delle reazioni dei lettori, mi entusiasma pensare che la lettura di Ci vediamo in agosto possa chiarire i dilemmi che García Márquez non ha risolto. Come sempre, spetta al suo pubblico decidere come leggere e fino a che punto interrogarsi sui punti ciechi dello scrittore, che sono poi gli stessi di molti dei suoi affezionati lettori. È questa la vera magia dello “specchio parlante” che ci ha lasciato in eredità. 

Traduzione di Alberto Bile Spadaccini

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