Un mare di oggetti 2. Il bikini

15 Luglio 2023

Forse non tutti sanno che persino nell’antica Roma le donne indossavano un costume a due pezzi, simile al moderno bikini. Ce ne dà testimonianza un mosaico romano, detto, appunto, delle Fanciulle in bikini, rinvenuto insieme a molti altri nella Villa del Casale, a Piazza Armerina, in Sicilia. Risalente al IV secolo d.C., fin dal 1997 l’intero ciclo fa parte del patrimonio UNESCO.

Anche se quelli indossati dalle giovani atlete romane possono sembrare dei bikini, in realtà, la parte bassa di questo indumento altro non è se non il subligaculum, quella striscia di lino di origine etrusca, portata indifferentemente dagli uomini e dalle donne, sotto ai loro vestiti (tunica o toga per i maschi, stola per le femmine). A coprire il seno, le fanciulle di Piazza Armerina indossano poi lo strophium (da un verbo di origine greca con il significato di 'girare, attorcigliare'), una fascia di tessuto sottilissimo e a volte trasparente, che il poeta ed epigrammista latino Marco Valerio Marziale definì “trappola cui nessun uomo può sfuggire, esca che riaccende di continuo l’amorosa fiamma” e che Ovidio, nella sua Ars Amatoria, già consigliava alle donne di imbottire, nel caso di seno piccolo.

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Piazza Armerina, Villa romana del Casale, mosaici (IV secolo d.C.). Questa villa, patrimonio UNESCO, è ricca di mosaici, dei quali il più famoso è sicuramente quello cosiddetto delle Fanciulle in bikini, dove sono raffigurate dieci atlete che si cimentano nel lancio dei pesi e del disco, nel gioco della palla, nella corsa, in onore della dea del mare Teti. Due di esse sono premiate con la palma e con una corona di fiori.

Ma il primo, vero, antenato del bikini risale al 1932, battezzato l’Atome: è chiaro il riferimento alla bomba atomica, visto lo sconvolgimento che si supponeva il capo avrebbe creato. Venne pubblicizzato come “il costume più piccolo al mondo”. Tuttavia, giudicato oltraggioso e indecente (mostrava la pancia ma copriva l'ombelico), non conobbe vasta diffusione. Ad inventarlo era stato lo stilista francese Jacques Heim, che ci riprovò nel 1946, dopo che il successo aveva invece arriso al vero padre del bikini, il suo connazionale l’ingegnere Louis Rénard. Questi, il 5 luglio di quello stesso anno, alla Piscine Molitor della capitale francese, aveva infatti presentato il suo costume rivoluzionario, facendolo indossare, davanti ai giornalisti, dalla ballerina e spogliarellista del Casinò de Paris Micheline Bernardini. Si trattava di un costume da bagno a due pezzi ancor più ridotto dell’Atome (lasciava scoperto l’ombelico), che egli battezzò Bikini. Il nome era un chiaro riferimento al test nucleare americano da poco tenutosi, sull'atollo di Bikini nelle Isole Marshall, nel Pacifico. Certo nessuno dei nomi scelti per questi due indumenti era politicaly correct, tuttavia, quello di bikini ebbe il successo che ancora oggi gli si tributa.

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1946, il primo vero bikini della storia, creato dall’ingegnere francese Louis Rénard (nella foto).
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Multa per bikini

Sul bikini ci sono anche storie curiose, infatti se nel 1947 Lucia Bosé vinse il concorso di Miss Italia indossandone uno, tre anni dopo, Sofia Loren non lo vinse perché il suo bikini venne giudicato troppo provocante: ah, i corsi e i ricorsi della ‘morale comune’. Tuttavia già nel 1953 il bikini era diventato un must in Costa Azzurra, grazie a una foto di Brigitte Bardot che la ritraeva su una spiaggia di Cannes con indosso un succinto bikini. Ma il vero trionfo di questo costume da bagno si conclama negli anni sessanta, quando furoreggia sulle spiagge europee ed americane, indossato dalle dive, pubblicato sulle copertine delle riviste patinate (da Playboy, a Sports Illustrated), cantato nelle canzonette, da Brian Hyland (Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini, 1960), con la contemporanea traduzione di Dalida (Pezzettini di bikini), fino a Tony Renis (Bikini e Tamurè, 1963) e persino fino agli appena nati Pooh (Battito in bikini, 1968), e pubblicizzato dai film  Agente 007 - Licenza di uccidere (1962); Bikini beach (1964); One Million Years BC (1966, con la bellissima Raquel Welch), preceduti dal nostrano Ferragosto in bikini (1960), tanto per citare soltanto qualche titolo di una fortunatissima e copiosa produzione cinematografica. Nel 1967 il Time scrive che il 65% delle ragazze in spiaggia ormai indossava un bikini e nel 1969 Yves Saint Laurent lancia una delle sue sfide, presentando addirittura una sposa in bikini.

Comunque per questo capo d’abbigliamento femminile non son state tutte rose e fiori. Infatti, il bikini al suo apparire fece scandalo scatenando le reazioni dei proibizionisti, Santa Sede in testa (dopo che l’Osservatore Romano in un articolo del 1949, lo aveva addirittura paragonato ai Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, viene anatemizzato dai pulpiti di tutte le parrocchie). I comunisti lo definirono “decadenza capitalista” e le femministe “porcata sciovinista”. Si arrivò, addirittura, a bandirlo dalle spiagge e dai luoghi pubblici della costa atlantica francese, della Spagna, dell’Italia, del Portogallo e dell’Australia. In un famoso scatto, tratto dall’archivio ‘Ullstein Bild’ dell’agenzia Akg Images, pubblicato nell’agosto 2016 dal New York Times, si vede addirittura un esponente delle forze dell’ordine (probabilmente tedesco, almeno a giudicare dalla divisa) mentre multa una ragazza in bikini. Il che accadeva di frequente, anche sulle nostre spiagge. Io stessa ho memoria di me, decenne, che guardo, atterrita, i vigili urbani di Finale Ligure mentre, vestiti di una impeccabile divisa, ma grondanti sudore, fanno la contravvenzione a delle giovani turiste vichinghe, altissime e biondissime, soltanto perché indossavano il bikini. 

O tempora, o mores!

Per chi volesse saperne di più, si consiglia il libro di Kelly Killoren The Bikini Book (Assouline, 2006).

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In copertina, 1953, Cannes, Brigitte Bardot in bikini ne lancia la moda in Costa Azzurra.

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