Rosso d'Italia

21 Aprile 2011

Da sempre il cibo è tra gli elementi che delineano l’identità di una nazione. Cibo inteso come scelte alimentari, riti, consuetudini, cucina, tradizioni, come l’insieme di tutto quello che generalmente oggi chiamiamo cultura alimentare.

Naturale che sia così; l’alimentazione di una comunità come di una popolazione ha sempre a che fare con la sua storia, così come con la geografia del territorio, con il clima e l’ecologia dei suoi ambienti, tanto più quando questi fattori erano al tempo stesso “risorse e condanne”, almeno per chi nasceva e viveva in un luogo, quasi sempre lo stesso.

 

Per tutta la lunga stagione preindustriale nel nostro paese – e in alcune regioni ancora fino agli anni quaranta del secolo scorso – l’alimentazione connotava gran parte della realtà materiale e culturale quotidiana, quest’ultima sempre che si vivesse sopra il livello di pura sussistenza, sempre che fame e carestia – ospiti temuti ed indesiderati – non fossero di casa: non può esserci infatti cultura alimentare ma solo sopravvivenza se il cibo diventa bisogno assoluto, se è visto e ridotto a rimedio per non morire. Le povertà alimentari sono sempre state uguali indipendentemente dai luoghi, ovunque hanno avuto lo stesso “sapore”.

 

Ed è tra fame e benessere che si muovono le pagine migliori del libro di David Gentilcore seguendo il percorso, per certi versi straordinario, che il pomodoro ebbe in Italia a partire dal suo arrivo dall’America. La purpurea meraviglia, storia del pomodoro in Italia (edito nel 2010 da Garzanti) è più di quello che il titolo promette: vale a dire la storia di un alimento che arrivato nella prima metà del Cinquecento conobbe una lunga resistenza e solo dopo circa tre secoli pervenne ad un consumo diffuso, preambolo peraltro al successo che avrebbe avuto su tutte le tavole degli Italiani.

 

Un successo che è tale anche ai nostri giorni; vera star tra gli ortaggi nel consumo “a crudo”, è dovuto al pomodoro il colore predominante dell’alimentazione mediterranea come della cucina italiana. Non è forse il rosso la dimensione sensoriale che permette di riconoscere immediatamente una pizza, la fondamentale dimensione culinaria legata alla preparazione e al consumo delle paste?

Già la pasta… è proprio quando il pomodoro incontra la pasta che il libro di Gentilcore dà il meglio di sé. Molto prima di quel momento (siamo circa a metà dell’Ottocento) sono riportati gli iniziali timidi esperimenti di coltivazione, i sospetti e gli ancora più prudenti tentativi di alimentarsene – quando il pomodoro arriva in Italia era pianta sconosciuta e dalle virtù ignote, “parente” di altre temute e velenose solanacee – il lento arrivo sui ricettari a partire solo dal Settecento.

 

Il pomodoro incontra la pasta e la storia del pomodoro improvvisamente diventa altro, si allontana dal mondo degli erbaggi – e in fondo dal mondo della natura – e diventa condimento di un alimento principale; per quanto semplice diventa cucina e cultura alimentare. Il pomodoro lentamente diviene il principale condimento della pasta, che in Italia – in particolare nel meridione – si avviava nell’Ottocento a diventare, accanto al pane, il più importante derivato del grano, vale a dire il cereale che secondo la lezione di Braudel è stato in Italia e in Europa la principale “pianta di civiltà”.

In questo senso, nel libro, insieme alla pasta, la storia del pomodoro diventa anche una parte della storia della nostra cucina e della nostra identità alimentare.

(C’è da chiedersi quanti dovrebbero essere gli alimenti che seguiti nel tempo potrebbero portare a una sintesi veritiera della nostra identità e storia alimentare. Sicuramente più di due, forse uno per ogni bisogno alimentare: il grano per le calorie – la fame – la carne per le proteine – la sostanza – gli ortaggi per il benessere… con le diverse alternative di ognuno disegnerebbero una sintassi gastronomica per una storia alimentare ancora da raccontare).

 

Nel libro di Gentilcore la storia del pomodoro diventa poi storia sociale quando tra Ottocento e Novecento ne seguiamo il consumo tra le prime generazioni di immigrati Italiani in America. Per quelle generazioni le tradizioni e gli alimenti d’origine sono il proprio paese e la propria città ancor prima che essere l’Italia e la memoria dell’Italia. Negli Stati Uniti, con un’immigrazione a forte maggioranza meridionale la pasta e la conserva di pomodoro diventano parte delle proprie radici, benessere conosciuto al quale ancorarsi con il palato e con il corpo. Ma ogni tradizione cambia ed evolve nel tempo adattandosi alle mutate condizioni; gli Italiani incontrano una maggiore disponibilità alimentare e con essa una inimmaginabile abbondanza della carne. Agli inizi del Novecento, la salsa di pomodoro e la pasta finiscono per essere accompagnate al sugo di carne e alle polpette; la tradizione del sugo alla napoletana (una cottura lentissima della carne e dei pomodori) si trasforma in spaghetti and meat balls. Dapprima piatto italo-americano e poi sempre più americano tout court. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento gli spaghetti e la salsa di pomodoro diventano negli Stati Uniti anche un prodotto industriale, in scatola. Gli spaghetti Boyardee (l’imprenditore era l’italiano Ettore Boiardi) già conditi con salsa di pomodoro e il formaggio grattugiato, negli anni trenta erano presenti in tutti gli Stati Uniti per diventare appena dopo un piatto completamente americano, compreso anche nelle razioni alimentari dell’esercito.

Di fatto si è di fronte a un vero e proprio melting pot alimentare a base della rossa salsa ma che non è stato l’unico di cui si è reso protagonista il pomodoro.

 

Gentilcore non lo dice chiaramente ma nell’Italia nel corso del secolo scorso sono i sughi a base di pomodoro che unificano le diverse cucine nazionali; quelle a vocazione mediterranea, quella continentale e padana, per ultime quelle appenniniche. Alla lunga, il rosso diventa il colore dominante di gran parte della cucina italiana, ben aldilà della artificiale divisione in regioni e ben dentro la disponibilità di risorse naturali e di consuetudini che rapidamente abbracciano l’intero paese.

Un’evoluzione ancora in corso: il pomodoro recentemente è stato valorizzato dieteticamente – la presenza nei suoi tessuti del licopene, sostanza dal forte potere protettivo ed antiossidante – è presente ed è apprezzato in innumerevoli preparazioni industriali e artigianali, è “attore” imprescindibile della cucina italiana e di molta alimentazione mediterranea, ha un consumo elevato e crescente anche in molte aree del mondo. L’Italia resta il principale paese esportatore seguita da Cina, Stati Uniti e Spagna.

 

Un successo inarrestabile: alla fine l’impressione è che il pomodoro diventi un successo in Italia e nel mondo quando il livello di benessere delle popolazioni si eleva e un alimento accessorio, un condimento particolare e dalla grande adattabilità culinaria come il pomodoro si offre a nuove possibilità di consumo e nuovi consumatori; fuori dell’universo degli ortaggi, delle frutte da villani che regolò la resistenza e il lento avanzare del pomodoro nell’antica società contadina. Sta forse anche in questo la ragione del suo successo e della sua storia recente.

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