Pasolini, Meloni e il cuore

12 Settembre 2022

Succede che ogni tanto qualcuno si alzi e si chieda: cosa direbbe oggi di tutto questo Pasolini? Non è facile rispondere, anzi a volte persino impossibile. Pasolini, ancora così presente tra noi, per tante ragioni è anche ormai molto lontano. Eppure ci sono questioni su cui ha detto e scritto cose importanti. Una delle sue tesi più discusse negli anni Settanta era quella del superamento della distinzione tra destra e sinistra. Pasolini non guardava tanto gli aspetti ideologici, ma, come spiega in Scritti corsari, piuttosto al linguaggio dei corpi. PPP era senza dubbio uno specialista di corpi, prima di tutto di quelli dei ragazzi che amava, in Friuli prima e a Roma poi, i ragazzi del mondo contadino e quelli del sottoproletariato urbano, che sono i suoi eroi, i suoi Narcisi, lo specchio in cui riflettersi come si vede nei suoi romanzi e nei primi film. 

L’articolo intitolato Il “Discorso” dei capelli apre gli Scritti corsari. Viene pubblicato il 7 gennaio 1973 sulla seconda pagina del giornale della borghesia industriale del Nord, “il Corriere della Sera”. Pasolini vi racconta il suo incontro con i capelloni in un hotel di Praga poco oltre la metà degli anni Sessanta. Sono giovani e non parlano. Il poeta studia il loro “linguaggio dei capelli” e si fa semiologo del discorso che emana dal loro corpo. Si convince che tra i giovani di sinistra e di destra ora non vi sia più alcuna differenza. Il discorso non è chiarissimo in questo primo articolo. Pasolini sta ancora elaborando il proprio pensiero e nei mesi successivi la tesi viene presentata in modo più articolato. La premessa del discorso è l’amore che PPP nutre per i ragazzi, un amore che ha due facce: da un lato c’è l’agape, l’amore come amicizia e pedagogia, e dall’altro l’eros, la passione e insieme la sessualità. Questo è il tema centrale della sua estetica e quindi anche della sua etica, lì sta la radice etica della critica che il poeta rivolge allo sterminio attuato dal neocapitalismo nella società italiana. All’epoca la tesi suscitò parecchie polemiche: la maggior parte degli intervenuti non era d’accordo. 

Se Pasolini fosse ancora qui con noi, da illustre centenario, cosa direbbe davanti ai due schieramenti, uno di Destra, guidato dai “Fratelli d’Italia” – nome quanto mai indicativo –, e uno di Sinistra, guidato dal Partito Democratico – altro nome che meriterebbe più di una chiosa? Se si legge Scritti corsari, si capisce che per Pasolini non c’era più nessuna differenza estetica, e dunque etica, tra la Destra e la Sinistra, dal momento che, come spiega negli articoli seguenti, è avvenuta un’omologazione prodotta dal consumismo, dalla scomparsa del mondo contadino e dall’insignificanza della Chiesa Cattolica. La grande rivoluzione antropologica, scrive, ha unificato i costumi degli italiani, a partire dall’aspetto fisico. La tesi non riguarda le ideologie in senso stretto, ma l’effetto che la rivoluzione antropologica ha prodotto nelle persone. Pasolini vagheggiava il vecchio mondo, pre-capitalista, un mondo ideale per ragioni legate al suo amore per i ragazzi. Nel 1970-75 li vede brutti, immiseriti e nevrotici. I borgatari sono diventati dei piccolo borghesi. Sulla politica PPP ha delle idee molto chiare: in Italia non era mai esistita “una grande Destra”, perché “non ha avuto una cultura capace di esprimerla”: “ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo” (Scritti corsari). A lui interessano le conseguenze dell’omologazione “culturale” che è derivata dalla trasformazione economica del paese. Riguarda tutti: “popolo e borghesia, operai e sottoproletari”. Pasolini, come aveva capito Gianfranco Contini, è a suo modo un poeta simbolista. Nell’articolo in cui parla della Destra politica scrive anche che il Potere “non sa più che farsene di Chiesa, Patria e Famiglia e altre ubbie affini”. 

Cosa direbbe oggi Pasolini della differenza tra Destra e Sinistra? Non è facile rispondere. Di certo lui, che era un populista nel senso etimologico della parola – amava il popolo –, si stupirebbe del ritorno di un partito di Destra che esibisce tra i suoi slogan: “Dio, Patria e Famiglia”. La differenza tra Destra e Sinistra esiste ancora, se siamo ritornati a quella parola d’ordine? Probabilmente PPP assentirebbe: c’è ancora una Destra priva di cultura. Il suo credo si fonda ancora sul passato, sul fascismo; non ha saputo, come scriveva nel 1974 Pasolini dopo le bombe neofasciste, elaborare alcuna cultura, o meglio la trae dal populismo neoconservatore o addirittura reazionario. La distinzione tra Destra e Sinistra esiste ancora se i temi della democrazia continuano a permanere dirimenti, come quello della libertà. 

Forse avrebbe simpatizzato con Giorgia Meloni riguardo al tema dell’aborto, cui Pasolini era contrario, ma questo tema andrebbe collegato, almeno per quanto riguarda il poeta di Casarsa, al quello della sessualità, della particolare omosessualità di Pasolini, che non è quella gay. Si tratta di un discorso complesso, di cui durante quest’anno, in cui si è celebrato il centenario della sua nascita, s’è parlato ben poco, ma che è importante per capire le sue tesi sull’aborto.    

Ma torniamo al tema della differenza tra Destra e Sinistra. Sono convinto che PPP avrebbe probabilmente rivisto la sua tesi di fondo, poiché nel frattempo la società neo-neocapitalista ha sviluppato aspetti inattesi che prima appartenevano solo alle élite, come la cultura del narcisismo, ora divenuto fenomeno di massa. Cosa avrebbe detto PPP dei social network e del risentimento che vi domina? Difficile rispondere. Però le idee chiare su cosa sia stata e su cosa, è ancora la Destra in Italia, Pasolini le ha già in quel periodo: nessuna cultura, nessuna idea nuova o capace di immaginare il futuro, solo ritorno al passato o, forse potremmo aggiungere oggi, amministrazione dell’esistente, ovvero conquista del potere. 

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Rileggendo, come ho fatto in questi giorni che ci separano dalle elezioni del 25 settembre Scritti corsari, mi sono reso conto che il passaggio a una grande Destra non è avvenuto, e che persino quel fenomeno interessante, almeno alle origini, del localismo leghista, che si vantava di essere antifascista, per poi andare al governo, pronubo Berlusconi, con i fascisti, si presenta privo di basi culturali e di qualunque progetto sociale di trasformazione e cambiamento. Funziona come uno strumento di governo che, di volta in volta, si è alleato con i ceti popolari, con i piccoli industriali e anche con i grandi industriali del Nord, tutti gruppi dediti ai dané, per dirla con Lucio Mastronardi. 

C’è tuttavia una questione che colpisce in uno degli articoli di Scritti corsari e che dà da pensare in questo frangente, un problema che, se PPP fosse ancora qui con noi, non avrebbe mancato di indicare. La si trova nella risposta che dà a Italo Calvino, sua antitesi, ma anche unico vero interlocutore nel dibattito, molto più di Moravia o di altri. L’articolo si intitola “Cuore” e appare il 1° marzo sul “Corriere della Sera”, giornale su cui scrivono entrambi. Pasolini, oggetto di insulti e attacchi feroci, riconosce a Calvino di essere stato l’unico interlocutore civile e veramente razionale. Ricopio per intero il passo perché le parole di PPP vanno lette direttamente: “Come me, Calvino proviene da una formazione e, oramai si può dire da una intera vita, passata sotto regimi tradizionalmente clerico-fascisti. Quando eravamo adolescenti c’era il fascismo: poi la prima Democrazia cristiana, che è stata la continuazione letterale del fascismo. Dunque era giusto che noi reagissimo come abbiamo reagito. Dunque era giusto che noi ricorressimo alla ragione per sconsacrare tutta la merda che i clerico-fascisti avevano consacrato. Dunque era giusto essere laici, illuministi, progressisti a qualunque patto. Ora Calvino – sia pure indirettamente e col rispetto di una polemica civile – mi rimprovera un certo sentimentalismo “irrazionalistico” e una certa tendenza, altrettanto “irrazionalistica”, a sentire una ingiustificata sacralità nella vita”. 

PPP si sta riferendo alla discussione intorno all’aborto, per cui Calvino aveva espresso un’idea radicalmente diversa, sostenendo che si diventa uomini o donne non solo nascendo. L’ha scritto in una lettera a Claudio Magris in cui, dopo aver detto, come in altre occasioni pubbliche, che l’aborto è un atto dolorosissimo, aggiunge: “Un essere umano diventa tale non per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri”. Salto qui la lunga citazione da “Cuore” per arrivare al punto che reputo decisivo nella argomentazione di Pasolini, non tanto sull’aborto, tema molto caldo all’epoca, e che oggi pure si riaffaccia, ma rispetto alla sua posizione rispetto al Nuovo Potere: “Il nuovo potere consumistico e permissivo si è valso proprio delle nostre conquiste mentali di laici, di illuministi, di razionalisti, per costruire la propria impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa razionalità. Si è valso delle nostre sconsacrazioni per liberarci di un passato che, con tutte le sue atroci e idiote consacrazioni, non gli serviva più”. 

PPP confermerebbe oggi nel mondo di Amazon, del porno-web, delle grandi imprese informatiche, del dominio dei social, la propria tesi? Non credo, ma non è questa la questione su cui mi interessa richiamare l’attenzione. Nelle ultime righe dell’articolo Pasolini scrive: “Al contrario di Calvino, io dunque penso che – senza venire meno alla nostra tradizione mentale umanistica e razionalistica – non bisogna aver più paura – come giustamente un tempo – di non screditare abbastanza il sacro o di avere un cuore”. Tralascio cosa intende per “tradizione mentale umanistica e razionalistica”, e neppure cosa vuol indicare con la parola “sacro” (rimando per questo al bel testo di Marco A. Bazzocchi, Alfabeto Pasolini, Carocci). Vorrei invece soffermarmi sulla questione “di avere un cuore”. 

Se fosse ancora vivo e attivo PPP non smetterebbe di chiederci: come è potuto accadere che in queste elezioni un partito di Destra, erede del fascismo della Repubblica di Salò, del neofascismo del Movimento Sociale Italiano, sia guidato da una donna, che si candida a diventare Presidente del Consiglio nell’Italia repubblicana nata dalla lotta antifascista? L’accento, sono sicuro, l’avrebbe messo sul tema donna. Forse ironizzando sul fatto che gli eredi di quella tradizione antifascista abbiano come leader un uomo: quasi tutti i capi di partito sono uomini. Una contraddizione, dal momento che Pasolini avrebbe spiegato dalle pagine di qualche quotidiano, o meglio dal suo sito web, che il problema è ancora una volta quello del “cuore”. 

La cosiddetta Sinistra italiana, nella sua variegata composizione, punta su aspetti “razionali”, non fa battaglie di “cuore”, di sentimenti. Giorgia Meloni per eredità politiche è una neofascista, nata e cresciuta in un clima politico di lotta ai valori dell’antifascismo italiano. Potrà cambiare, sarà anche cambiata – tutti possono mutare idea o convinzioni –, tuttavia incarna qualcosa di quel passato che non sembra passare, quello che Leonardo Sciascia chiamava “l’eterno fascismo italiano”, ovvero la tendenza degli italiani ad adeguarsi, ad essere conformisti, a farsi gli affari propri: il tengo-famiglia. Eppure in Giorgia Meloni sembra incarnarsi quell’“avere un cuore” che la Sinistra non sembra manifestare. La Sinistra parla in gran parte il linguaggio della razionalità. Non che questo sia di per sé sbagliato, ma il cuore non ce l’ha o se c’è non si sente battere. 

Questa è la grande contraddizione di questo confronto elettorale che è stato trasformato in una sorta di referendum a favore o contro la Meloni. Sarà anche così, non lo nego, ma il problema che la Sinistra non abbia espresso un leader donna fa riflettere. Ma soprattutto che non sia capace di parlare al cuore degli italiani usando il cuore. Cosa direbbe al riguardo Pasolini non lo so bene, so però che il problema se lo sarebbe posto, lui che aveva scritto nelle Ceneri di Gramsci: “Lo scandalo del contraddirmi dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere”. Una Sinistra che sta nella luce e insieme nelle buie viscere non c’è.

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