Addio Monti / Lucia è l’autoritratto di Manzoni giovinetta e fidanzata?

2 Ottobre 2019

Lecco. 15 settembre 1991. Di pomeriggio saliamo sulla montagna per il sentiero sotto il Resegone. Boschi, radure. Un puledro da poco nato salta e corre su un prato verdissimo – gioca col suo corpo snodato, balla (è Dioniso, mi viene da dire). Con Luca Radaelli regista drammaturgo del Teatro Invito, Giorgio Galimberti attore drammaturgo e altri sto esplorando un percorso per raccontare camminando Teatro con bosco e animali. Tre anni fa, nel 1988, con Paolo Pierazzini regista abbiamo inventato questa “forma” – il teatro che racconta camminando. Oggi sto progettando un esperimento nuovo. Al centro ci sono il teatro (dove arriveremo a fine percorso) e casa Manzoni, il Caleotto.

Siamo in alto. Laggiù c’è il lago – il ramo del lago di Como. Quando siamo sotto le rocce provo a mormorare il famoso incipit, “Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo” (che nella versione del Fermo e Lucia faceva: “Addio, monti posati sugli abissi delle acque ed elevati al cielo”). La prospettiva qui è capovolta. Addio lago, in cui si rispecchiano i monti.

 

Nel romanzo di Fermo e Lucia, e poi di Renzo e Lucia, la cuna è questo paesaggio – il paesaggio del padre.

Il Caleotto, la casa dei Manzoni, signori del ferro e dei forni di fusione, controversi e discussi fin dal 1600 (in quel secolo, alla sua metà, si ambienta il romanzo) è il fondo della cuna. Tutta la storia si dipana a partire da qui. Ma quando ha 28 anni Alessandro vende la proprietà, la casa del padre, il lago e i monti. Non tornerà più a Lecco. Perché?

 

Si sa della storia del padre, che non era Pietro Manzoni ma Giovanni Verri. E lui Alessandro lo sapeva. E probabilmente aveva ben studiato le carte dell’archivio di famiglia, l’archivio Manzoni – con le tracce dell’antenato Giovanni Maria sfiorato dall’accusa di essere untore, negli anni della famosa peste.

A mano a mano che scendiamo verso Lecco sempre più mi si rivela il paesaggio e prendo appunti. Arriviamo al Caleotto – ecco, da qui si vede tutto: il palazzotto di don Rodrigo (adesso c’è una casa farmaceutica, l’hanno sconciato, è un edificio nuovo a strisce bianche e verdi) – e la chiesa di Olate e i muretti – e davanti al palazzotto, oltre il torrente, la presunta casa di Lucia di Acquate (lui, don Rodrigo, la vedeva dunque, immagina Alessandro scrittore, la vedeva ricamare, andare a letto a lume di candela) – e la stradina dei bravi e la chiesa di don Abbondio – e sotto Pescarenico – e verso Sud il colle di Vercurago, si vede la rocca dell’Innominato.

 

Cammina cammina. Quanto ha camminato Alessandro dentro questo paesaggio, col peso della madre lontana, giovanetto abbandonato – con quel padre severo, triste. Tragico?

Paesaggio. Racconto del paesaggio. Addio paesaggio dell’anima.

Addio, monti.

Ma allora, penso, Lucia è lui, Alessandro giovinetto. È lui il promesso sposo, il vergine che saluta la propria anima e quella del padre anelando alla madre. Con pietà per il padre non padre? Acqua del lago, monti. Addio padre non padre, adesso entro in te, madre acqua, io Alessandro Lucia, a cercare luce in questa notte oscura, insidiata, pericolosa.

 

 

E quel puledrino, penso, era Alessandro – libero di ballare sotto il monte, sul prato matrice fresco e nutritivo – puledro appena nato.

Quanto si è scritto sui luoghi manzoniani – i luoghi che spesso sono la materia prima dei racconti, dove lo scrittore si cela lasciando intendere senza precisare – per pudore e segretezza, per non svelare la tana, il mistero del nascondimento.Un racconto, forse, non è mai ciò che mostra in superficie. Dietro, occulto, c’è il corpo caldo dei rapporti profondi (con la madre, il padre, i servi amorosi, le balie, i contadini collaboratori – e penso alla njania governante di Pushkin che gli ha dato la lingua popolare, alla governante dei fratelli Grimm che ha dato loro le fiabe, alla governante di Pitré). 

Nei rapporti profondi, carnei, c’è il tessuto profondo e misterioso della lingua, che è sempre il corpo vivo trasmesso da voce a voce.

 

Ecco che, camminando un giorno sui monti in cerca della forma del teatro mi si svela improvvisamente la prima forma del romanzo quando Manzoni lo affronta – che è la forma (la prima forma) della sua vita – e lui è una giovane donna che fugge innamorata, angosciata, impaurita.

 

Questo testo è estratto da Giuliano Scabia, Una signora impressionante, ed. Casagrande, in libreria in questi giorni.

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