La cultura come risposta alla crisi

10 Luglio 2013

(Qui la prima parte)

 

Per un florilegio artistico

 

Non sono un economista, e quindi mi è difficile andare oltre alcuni spunti per tradurre in pratica l’analisi introduttiva. Esistono già molte ricette di sicuro valore, mi piacerebbe pertanto accennare solo ad alcune strategie che consentano al Paese di incentivare la propria domanda culturale: di offerta ce n’è molta, si vedano le statistiche sui libri pubblicati http://www.istat.it/it/archivio/62518  sugli spettacoli proposti (507.155 spettacoli di ballo in Italia nel 2007, Beretta, Migliardi 2012), nonché le considerazioni sul cinema: http://www.linkiesta.it/industria-cinematografica#ixzz2XDv9ztCX



L’intervento pubblico deve allora essere finalizzato ad accrescere la domanda, partendo dalla formazione delle nuove generazioni: le scuole devono arricchire la propria offerta di percorsi artistici, magari pomeridiani, attingendo con forza ad associazioni culturali e volontari, in un’ottica di sussidiarietà. Pensando ancora ai giovani, credo che uno strumento sotto utilizzato in Italia sia il cosidetto edutainment: Art Attack, per intenderci. Non è impossibile creare fiction di qualità sulla Rai, né pensare a dei Simpson italiani. Un campo che offre notevoli opportunità sono i videogiochi: primo, perché vi si dedica molto tempo, secondo, perché alcuni sono un potente strumento per trasmettere conoscenze e accrescere le capacità di ragionamento: penso a tutti gli RTS (real time strategy), sulla scorta di Civilization. Il settore non gode in Italia di player rilevanti, soprattutto perché richiede grandi investimenti per dar vita a nuovi titoli, nell’ordine di alcuni milioni di euro. E’ necessaria allora una strategia di sviluppo su settori knowledge intensive, attraverso una programmazione politica intelligente, al fine di dare luogo a un distretto dei videogame in aree, come il milanese, dove abbondano risorse finanziarie, informatiche e artistiche. Gli esempi di successo sono molteplici: società come Fishing Cactus (Belgio), il cui numero di dipendenti é passato da 3 a 30 dal 2008 al 2012 occupando artisti, scenografi, game developers, ingegneri, o 3D Duo (con sede a Lille, nel cluster Plaine Images), studio di animazione con un turnover di 1,5 milioni di euro, con circa 25 dipendenti, nata appena nel 2008.

 

 

Perché la cultura diventi più divertente il mondo culturale italiano deve uscire dalla propria autoreferenzialità, abbandonando antiche concezioni elitarie. Allo scopo, potrebbe essere utile ripensare gli investimenti oggi garantiti da spesa pubblica, sovvenzionando solo gli spettacoli ritenuti strategici (l’opera lirica, per fare un esempio, dove la nostra tradizione è ancora apprezzata mondialmente), e favorendo una logica basata su voucher, che hanno minori rischi anti-redistributivi e, anzi, potrebbero rivolgersi a studenti meritevoli e agli abitanti di zone degradate. Il Brasile ha riconosciuto le politiche culturali come strumento per uno sviluppo equilibrato e proposto i propri buoni: http://www.ifacca.org/international_news/2013/01/30/culture-voucher-will-boost-economy-cities-says-mar/
Una società specializzata nei ticket restaurant ha invece introdotto il ticket cultura: http://www.edenred.it/employee-benefits/ticket-cultura/ un modo decisamente intelligente per formare i propri lavoratori.



All’interno dell’attuale fermento intorno al tema start up sarebbe utile sviluppare il tema delle start up culturali, situandole idealmente al confine tra arte e piacere di vivere, in modo da creare modelli di business economicamente sostenibili. Non vorrei sembrare blasfemo di fronte ai puristi, ma penso che una strada da seguire debba portare a una costruzione di benessere a trecentosessanta gradi, in cui l’eccellenza enogastronomica sposa, senza complessi reverenziali, musica classica o teatro, magari anche all’aperto, sull’ottimo esempio di Piano City.

 

Mi immagino ristoranti e bar che si animano con jam session di pianoforte e violino, suonati da studenti provenienti dagli oltre 300 conservatori italiani: un modo per avvicinare alla musica e riportarla nella quotidianità. Me li immagino anche in zone periferiche: perché possono installarsi in locali a basso prezzo, e riqualificare così l’economia, la vita e l’immagine del quartiere. D’altra parte, le dimensioni considerevoli raggiunte dal fenomeno dei foodies o il successo di iniziative come Slow Food - oltre a una naturale condivisione del piacere di vivere - rendono questa sinergia quasi spontanea.

 

 

Infine, come insegna l’esempio di Liberos, premiato dal bando CheFare, la sopravvivenza delle piccole librerie - e magari dei piccoli teatri, in una sinergia crossmodale - passa per sistemi innovativi di fidelizzazione. In generale, un’attenta opera di coordinamento, stimolata dalle istituzioni locali con un occhio al turismo, può usare leve tecnologiche per produrre importanti risultati: mi immagino applicazioni per cellulari e tablet che offrono servizi unici di prenotazione degli spettacoli, integrati nella rete di fidelizzazione succitata. Come Eventbrite mi consente di vedere quali mie amici vanno a quali eventi, lo stesso principio, applicato per gli spettacoli teatrali, può scatenare una positiva imitazione tra pari.

 

Vantaggio competitivo

 

Abbiamo 95.000 chiese monumentali, 40.000 fra rocche e castelli, 30.000 dimore storiche con 4.000 giardini, 36.000 fra archivi e biblioteche, 80.000 autori di musica: numeri semplicemente impressionanti, che ci pongono in una situazione di vantaggio competitivo unico.



Ho cercato di trasmettere l’idea che la spesa culturale non si debba limitare a conservare un patrimonio ingombrante o attirare turisti annoiati: è vitale nel senso etimologico. Per questo, considerare la politica culturale come strategica per il paese non significa mantenere separazioni tra centri di eccellenza e cultura “popolare” né limitarsi a salvaguardare rovine, ma richiede di inserire le proprie iniziative nel più ampio contesto socio-economico con una visione a medio-lungo termine. La cultura crea ricchezza in modi a volte imprevedibili, se è vero che può favorire l’inventiva e l’originalità di chi deve affrontare la concorrenza internazionale, migliorando il capitale umano d chi si trova a progettare nuovi prodotti e servizi esattamente sulle esigenze dei propri clienti. Una società più colta è probabilmente una società più aperta, innovativa e sana.
La sfida per aumentare l’inclusione culturale richiede il coinvolgimento delle parti più dinamiche  del paese: perché questo possa avvenire è importante mettere in rilievo il ritorno occupazionale e le opportunità di incidere positivamente sul tessuto socio-economico italiano.

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