Insegnare la storia

9 Novembre 2021

Già prima dell'emergenza Covid, e dei problemi emersi nei quasi due anni di Didattica a distanza, il modo in cui è insegnata la storia nella scuola italiana, segnata dallo stigma di materia  noiosa e nozionistica, era oggetto di grandi riflessioni a causa di una crisi in corso, che investe metodo didattico e canone dei contenuti: a maggior ragione, insegnare e imparare storia acquista ulteriore valore in un momento come questo, se – come io credo – dalle competenze storiche dipendono molte capacità di comprendere la realtà sociale. Non soltanto in nome dell'historia magistra e delle retoriche del “mai più” – a rischio di diventare trite, abusate, moralistiche –, ma perché nel decifrare e comprendere il passato si formano gli strumenti, la grammatica, la sintassi, il vocabolario per l'interpretazione del presente e la progettazione del futuro: gran parte della complessità della realtà si deve alla sua trasformazione nel tempo.

 

Ora, in una società schiacciata tra presentismo ingombrante e comparatismo selvaggio, tra anacronismi patenti e riferimenti identitari, le competenze storico-storiografiche e il metodo storico-critico sono risorse fondamentali e indispensabili. Nel dibattito pubblico e nelle mediasfera contemporanea emerge una grave incapacità di comprendere le differenze storiche tra fenomeni imponderabili, con un uso smisurato dell'analogia e dell'iperbole, che, anche laddove non si parli di analfabetismo funzionale, è reso possibile dalla poca dimestichezza con un modo di pensare che preveda l'analisi delle fonti in relazione ai contesti. La comparazione è una tendenza logica comune ed è una pratica importante anche per la disciplina storica, il cui scopo è chiarire meglio le rotture e le differenze tra i tempi e non aumentare arbitrariamente le continuità e le similitudini tra uno ieri e l'oggi. Se aggiungiamo il fatto che esiste un serio problema di mercato editoriale che si innesta sulla differenza – a tratti imbarazzante – tra ricerca e divulgazione storica, sarà più chiaro come la storia insegnata a scuola sia la base per qualsiasi futuro rapporto con la conoscenza storica. La mia idea, da docente di Storia e filosofia nei licei, è che alla base della storia nelle scuole secondarie ci siano ancora ingombranti eredità gentiliane e filosofie della storia implicite e non messe a tema: i medesimi problemi che si intravvedono in tanti discorsi pubblici, da quegli degli intellettuali che non si sono formati sul metodo storico-critico a quelli dei politici che ammiccano continuamente alla storia – o meglio alla sua rappresentazione ideologica, mitologica e semplificata nel suo uso pubblico – a quella restituita negli estenuanti flussi di commento sui social media.

 

La storia insegnata tende a diventare «una retorica del tempo esplorato» (Georges Didi-Hubermann), in particolare nella scuola dove è nata istituzionalmente come narrazione valoriale, nazionale ed eurocentrica di marca storicista e post-idealista: una mitografia in cui si perdono le risorse che la storia totale degli “uomini e donne nel tempo” (Marc Bloch) è in grado di offrire anche a chi non sia un professionista. Insegnare storia significa invece porre dei problemi nel tempo: rompere l'ovvietà del presente, e proporre strumenti di comprensione, mostrare soluzioni e ipotesi alternative, all'interno di una concezione della trasformazione e dell'agire in tempi e spazi dati. Fare storia, anche a scuola, vuol dire prendere in esame porzioni di passato su temi, oggetti e contesti specifici, a partire da domande di senso che sorgono dal presente e che orientano lo sguardo al passato.

 

Un momento di crisi sanitaria, ambientale, sociale e politica è particolarmente adatto per mettere emergenze e crisi in prospettiva storica: il modo in cui le catastrofi sanitarie hanno plasmato le società del passato ci dice qualcosa su cosa sono state in grado di fare le società contemporanee e come abbiano gestito fenomeni di disagio, fragilità e morte di massa, a partire dai saperi e dalle tecniche di cui disponevano. Il che spinge anche a pensare la biologia come agente di storia e a ripensare l'antropologia sociale implicita: se nel Novecento la storia si è trasformata profondamente incontrando le scienze sociali (mentre la scuola continua a sottolineare gli aspetti evenemenziali politico istituzionali), i tempi richiederebbero un felice incontro con le scienze della vita e le neuroscienze cognitive (cfr. ad esempio qui). Si tratta dunque di pensare in termini diversi introducendo sguardi di lungo e lunghissimo periodo (la storia della preistoria, l'antropologia sociale) e di saper leggere le storie europee-occidentali che raccontiamo come l'etnografia di una delle diverse durate parallele e non, surrettiziamente, di suggerire che quella sia la “Storia”.

 

L'aspetto politico senz'altro rimane: storia è la “materia” principale a cui sono tradizionalmente associati i temi di Cittadinanza e Costituzione, oggi la trasversale Educazione civica. Temo che nel precipitato dalla legge vigente in molti consigli di classe avvenga di fatto una sorta di delega che le altre discipline attuano nei confronti degli insegnanti di storia (un tempo titolari di “storia ed educazione civica”), spesso rinunciando – per molti motivi – a concorrere a un insegnamento che la legge stabilisce essere multidisciplinare. Per quello che riguarda quello che insegno si tratta di integrare gli aspetti giuridico-politici dell'Educazione civica problematizzando e decostruendo gli enunciati dei dettati legislativi, ad esempio esplorando il processo Costituente e il suo retroterra, e ancora tematizzando la nozione di storia pubblica, le politiche memoriali e il calendario civile: in altre termini, fare storia e insieme storia delle memoria, mostrando le riletture del passato che rendono la storia non un progresso lineare e cumulativo ma la storiografia un insieme di porosità e lampeggiamenti.

 

Per essere molto concreti: la narrazione nazionale eurocentrica dovrebbe essere ampliata in chiave mondialista e post-coloniale a partire dai paradigmi consolidati nella ricerca, laddove mostrare il connubio latino-germanico medievale, o la conquista del nuovo mondo e l'economia-mondo moderna o le politiche dell'imperialismo – solo per citare esempi di programmazione ad alto attraversamento didattico in un triennio di scuola superiore – significa praticare una storia delle relazioni umane essenzialmente sociale e politica che si muove tra l'integrazione, l'assimilazione, il conflitto, lo sfruttamento, la persecuzione e il genocidio. 

 

 

La storia sociale, della mentalità e di genere sono in questo senso risorse necessarie per la formazione di una coscienza critica, reattiva, connessa alla giustizia nel presente: sul piano valoriale non c'è possibilità di pluralismo o tolleranza se non si ha la percezione dei molti modi di costruire realtà sociale e delle asimmetrie di potere che le accompagnano nel tempo e nello spazio geografico. Le diverse dimensioni della storiografia – chiamiamola “cliodiversità” – si adattano particolarmente alla programmazione in scuole con indirizzi e curvature diverse, su cui far valere per gli approfondimenti gli elementi motivazionali con studenti e studentesse con diversi interessi per la materia (ad esempio: storia della tecnica e delle scienze, storia sociale e di genere, specifiche storie nazionali, storie dell'alimentazione...).

Con un tempo ridotto di insegnamento (2 ore settimanali nei licei la media, 1 ora in altri ordini di scuola, 3 nel liceo classico) si tratta di selezionare in modo chiaro e deciso temi e archi periodizzanti, rinunciando a un enciclopedismo inutile (e destinato al fallimento). Non si tratta di accelerare il tempo di lavoro per “fare il programma”, quanto di lavorare in intensità e profondità su alcuni temi significativi e paradigmatici in base al progetto culturale che si è voluto disegnare. 

 

Da questo punto di vista, sono a favore di scelte anche radicali che escludano dalle programmazione momenti della storia antica, medievale, moderna o dell'Ottocento – che andranno sintetizzate in termini di storia culturale o ridistribuiti con altre discipline come lettere o lingue (antiche e moderne) –  in favore di una più sistematica storia del Novecento, che arrivi ben oltre la fine della Seconda guerra mondiale, ancora oggi il “traguardo” faticosamente raggiunto in vista dell'esame di Stato. Credo inoltre che ci sia spazio per le scelte di ogni Dipartimento e/o docente – a partire da sensibilità, formazione, ricerche, aggiornamento –, a condizione che siano definite dalla forma mentis del pensare in modo storico a partire dal tema delle fonti/tracce del passato.

 

Per fare questo a scuola l'insegnamento trasmissivo frontale (lezione/imitazione-rielaborazione/prestazione valutata) non dovrebbe essere esclusivo, in favore di didattiche partecipative, immersive e documentali (che, in mancanza di tempi adeguati curriculari, possono essere adeguatamente messe in cantiere nei progetti o nei Pcto). Per quanto sia da accogliere con favore il successo di historyteller, youtuber e podcaster a sfondo storico (che testimoniano la forte domanda pubblica), è opportuno ricordare che la narrazione è solo uno dei modi della pratica del sapere storico: ben venga se a questo sono connessi piacere e fascino, che sono condizioni essenziali della motivazione; a scuola ci si confronta con la dimensione dell'apprendimento istituzionalizzato e una didattica attiva può aggiungere il lavoro della decostruzione della fonte e il travaglio dell'interpretazione come problemi da sciogliere. È attraverso la conoscenza diretta delle tracce e la loro lettura ravvicinata che, oltre a formare futuri specialisti, si insegnano strumenti di interesse comune di validazione della fonte e si mostra il lavoro necessario per poter considerare valida una conoscenza.

 

Senza dimenticare che a scuola ci si deve confrontare con soggetti in età dello sviluppo che devono sperimentare metodo di studio, tempi di preparazione e pratiche di valutazione, elementi che hanno un tratto di imposizione ineliminabile.

Il manuale è dunque uno strumento base e di raccordo che deve implicare testi, di primo e secondo livello, a cui dedicare specifici momenti di analisi. A questi si affiancano monografie, romanzi storici, saggi, articoli, immagini, registrazioni che andranno selezionati e dosati a seconda degli studenti e studentesse che ne sono i destinatari. Leggere di storia è un requisito imprescindibile per capire la storicità, che implica anche la riproducibilità dei documenti (archeologici, testuali, orali, visivi, sonori, artistici) e la loro ricombinazione cross-mediale, un potenziale didattico di grande efficacia oggi facilmente utilizzabile dove ci siano LIM e connessione, applicativi di condivisione di materiali e scrittura collaborativa. 

 

L'insegnamento della storia a scuola consiste in concreto in processi di selezione, trasmissione e ridefinizione avvertita e sensibile di un canone, da cui derivano la capacità di rapportarsi agli archivi, alle biblioteche e alle enciclopedie che in quest'epoca – presentistica e retromaniaca al tempo stesso – richiedono di essere avvicinate con strumenti di razionalità fine. Oltre alla disponibilità di risorse cartacee che la riproduzione digitale rimette in circolo, usare materiali on line in una ricerca storica vuol dire insegnare a individuarne genesi, realizzazione e aggiornamento, soggetti responsabili, editori, finalità, intenzioni, pubblico, richiamo a tesi o a rappresentazioni diffuse, relazione intertestuali: in altre parole l'esplorazione del contesto e della costellazione di riferimento, che sono anche fonti per la storia del presente.

 

La storia è sempre al tempo presente e rivolta alle sue emergenze. Lo è perché sono i soggetti che riproducono nel loro 'ora' qualcosa di scomparso nell'invisibile, lo è perché nell'impossibilità/inutilità di avere una mappa in scala 1:1 del passato le rilevanze sono dettate da motivi concreti di interesse di chi volge il suo sguardo, sempre presente, al passato. Nella crisi del web aperto e nella concorrenza per l'economia dell'attenzione, il sapere storico offre gli strumenti per un rallentamento e per una presa di distanza utile per riconoscere saperi falsi e demitizzare quelli sacralizzati. La storiografia è il prodotto di un metodo di interpretazione della complessità che prende in considerazione fatti, eventi e processi, verifica dei dati e delle fonti e analisi diversi punti di vista: in questo, il metodo storico-critico, come pratica del contesto, è una dotazione decisiva per sottrarsi all'autoritarismo, alla vaghezza e all'incertezza della società della disinformazione. La capacità di decifrare messaggi e di coglierne veridicità e plausibilità deriva dalla competenza nel vagliare tracce e fonti, codici e registri, riportandoli al loro ambito; saper verificare l'informazione significa incrociare le fonti valutandone gerarchia e autorevolezza, tenendo conto dell'intersoggettività, del pluralismo e della relazione tra dati. Insegnare storia è dunque insegnare uno stile epistemologico: il sapere storico fornisce una visione d'insieme, tanto più ampia quanto più è vasta la distanza temporale; pensare in termini storici permette di sentire le trasformazioni e di pensare l'agire nel proprio tempo.

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