Diario 9 / Il filosofo idraulico

5 Aprile 2022

Lunedì 28

 

Ieri l’altro due studentesse di quarta mi hanno inviato una foto in cui tengono in mano una copia dell’Armata Brancaleone, il film di Monicelli con Vittorio Gassman. Un capolavoro, ho risposto subito, che ho visto e rivisto non so quante volte. Da imparare a memoria, ho aggiunto. 

E a proposito di memoria, oggi a scuola, mentre scendevamo le scale, un mio collega d’italiano ha detto che quando era al CAR, il Centro Addestramento Reclute dove si svolgeva il primo mese del servizio militare, aveva deciso d’imparare a memoria l’Inferno di Dante. E arrivato al reparto di destinazione ha mantenuto il suo proposito, un canto dopo l’altro, di settimana in settimana, tanto che a un mese dal congedo poteva recitare tutti gli endecasillabi dell’Inferno

E i gradi? Non ti hanno fatto generale? Generale ha detto di no, ma in compenso questo mio collega aveva trasformato la naia in un purgatorio, perfino in un paradiso perché dopo che si era sparsa la voce c’era sempre qualche ufficiale che pretendeva una dimostrazione. Allora lui tirava fuori la Divina Commedia, l’allungava in modo che potessero controllare, e iniziava da un punto qualsiasi. Come premio chiedeva dei giorni di licenza.

 

Io non so se è una storia vera, ma dato il carattere di questo mio collega, dedito a imprese culturali e sportive al limite della stravaganza, mi sembra perlomeno verosimile.

E ancora a proposito di memoria, ho letto che Xi Jinping dispone di un repertorio sterminato di citazioni che usa a piacimento, compresi Dante e Petrarca. Anche Hemingway. Alla cultura ci teneva perfino da giovane, quando l’avevano mandato in un villaggio a svolgere lavori manuali, come prescriveva la regola del Partito Comunista Cinese di Mao Zedong. Lui, Xi Jinping, si era presentato con un valigione che tutti pensavano fosse pieno zeppo di roba da mangiare, invece era pieno di libri. 

Perfino di recente, durante una conversazione con Joe Biden, il quale ha chiesto alla Cina una mediazione nella guerra in Ucraina, Xi Jinping avrebbe risposto con un antico motto: spetta a chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo. Un po’ come dire che prendere in mano le castagne spetta a chi le ha messe sul fuoco. 

 

Ecco, io non so se Xi Jinping conosce anche Boccaccio, ma certo, se quello che si legge è vero, apprezzerebbe la battuta che Boccaccio mette in bocca a Guido Cavalcanti, quando è raggiunto da una torma di seccatori in un posto pieno di tombe, vicino a Santa Reparata. Vorrebbero che entrasse in combriccola con loro e in risposta, dopo aver appoggiato una mano su un’arca di marmo, lui, Cavalcanti, pronuncia questa frase: Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace. Quindi, sdegnoso, si dilegua.

Invece Joe Biden dà l’idea di uno che faticherebbe ad apprezzare l’arguzia della battuta, e rimarrebbe a bocca aperta, come uno smemorato.

 

 

Martedì 29

 

Per tornare al lavoro manuale, questa è una regola che applicherei anche a scuola, lavoro di falegnameria, però, al tornio o alla sega verticale a nastro, non nello studio di un parente avvocato, come consente di fare il PCTO, il Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento. 

Il lavoro delle mani sviluppa il pensiero, diceva Anassagora, sono le mani che fanno l’uomo più intelligente degli animali. E non ci sarebbe neanche bisogno di scomodare la Cina della Rivoluzione Culturale, basterebbe la tradizione occidentale del monachesimo benedettino, basato sul principio dell’ora et labora

Un lavoro sodo, quello dei monaci, s’intuisce anche dalla Regula monasteriorum numero 39, che si sofferma sulle quantità, prescrivendo che a ogni pasto siano fornite due portate di cibo cotto, più una terza, potendo, frutta o legumi, e comunque una libbra di pane al giorno, cioè l’equivalente di 300-350 grammi. Se poi la fatica risultava ancora più intensa del solito, l’abate aveva piena facoltà di aggiungere qualcos’altro. 

 

Una prescrizione, questa sul pane, che mi torna utile in famiglia. Secondo me il pane non deve mai mancare sulla tavola, né a pranzo né a cena, nemmeno a colazione, il che però procura non pochi attriti con mia moglie. Dice che esagero, che sono un fissato del pane, che ne compro troppo e poi rimane, e non abbiamo neanche le galline. Io però cito la regola benedettina, e poi le spiego che col pane soffro di fame isterica. Me l’hanno trasmessa i miei genitori quando ero bambino, parlando delle privazioni subite in tempo di guerra.

In ogni caso, oggi, quando sono andato a comprare il pane e l’erbazzone, all’uscita dal negozio che c’è vicino a casa mia ho anche fatto una passeggiata in campagna. 

Cielo azzurro, sole splendente, alberi in fiore e margherite per terra: l’ideale per una passeggiata da perdigiorno, come quelle che faceva Robert Walser. Dunque m’incammino verso Rivaltella ed è tutto come al solito, ma poi, percorrendo la strada che costeggia Villa Corbelli, superata la curva sulla destra, m’accorgo che in mezzo a un prato c’è un uomo. Proprio così, un uomo seduto da solo in mezzo a un prato. Sembra contemplare il traffico che in lontananza scorre lungo via del Buracchione. 

Io continuo a camminare guardando quella strana scena poi rallento e mi fermo. Sono incuriosito dalla stranezza di quel tipo che mi dà di spalle. Sta là seduto a guardare non so cosa, e io sto in piedi a guardare lui che guarda. 

 

 

Poi vedo che si alza, richiude la sedia pieghevole e se la mette sulle spalle. Un po’ come facevano i pittori impressionisti col cavalletto, quando se lo portavano in giro per dipingere en plein air, e come facevamo io e un mio amico di nome Paolo, quando a diciott’anni eravamo appassionati di Van Gogh. Andavamo in campagna con tela e tavolozza. Per un pomeriggio intero vivevamo l’esperienza del pittore all’aria aperta, ma poi finivamo la giornata nel chiuso della cantina di suo nonno, attorno a un salame ben stagionato. 

Ma il bello è che lo sconosciuto, dopo aver fatto sì e no cento metri, si ferma di nuovo, apre la sedia e si sistema come prima a contemplare l’orizzonte. Per quanto mi riguarda è sempre la stessa prospettiva, lo stesso prato verde e il traffico che scorre più in là è sempre quello di via del Buracchione. 

Lo so che non si può capire tutto, ma rimango del parere che tutto quello che accade abbia una causa, vale per ogni epifania, e così, tornando sui miei passi, mentre mangio un pezzo di erbazzone, mi viene in mente quello che ha detto una mia collega di nome Elisabetta, che in un corso d’aggiornamento di qualche giorno fa ha tenuto una lezione sul sublime nella prima generazione dei romantici inglesi. 

Parlando di Wordsworth ha chiarito che il sublime lampeggia nel poeta, cioè non appartiene all’oggettività del mondo esterno, non esiste in sé, ma ha bisogno dello spettatore perché sia colto. 

 

 

Mercoledì 30

 

Oggi in quinta ho detto: ragazzi, ma vi rendete conto della bellezza che abbiamo attorno? Poi aggiungo che col passare degli anni è cresciuta la mia curiosità, m’interessa tutto. A quel punto una studentessa di nome Francesca alza la mano e chiede se ho cominciato anch’io a fermarmi per strada come fanno i vecchi che guardano i lavori dei cantieri. L’ha detto col tono giusto, col senso del tempo comico, e scappa da ridere anche a me. 

Poi mi chiedo se non sia il caso di raccontare di quel tipo che ho visto ieri, quello seduto in mezzo a un prato. Potrei anche impreziosire il discorso citando Wordsworth, o Schopenhauer, quando parla dell’esperienza artistica che libera l’individuo dalla volontà, trasformandolo in puro occhio del mondo. Potrei anche fare come qualche collega all’antica e interrogarla di brutto. 

Invece riprendo a parlare dell’evoluzionismo perché ho in serbo un colpo a sorpresa. Infatti, quando chiedo come mai il pavone abbia sviluppato una coda tanto lunga e variopinta, ma altrettanto ingombrante, nessuno risponde. La coda non è certo un vantaggio nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, espone il pavone ai predatori. Come mai? Ancora silenzio. 

Pavone

 

Aspetto qualche secondo, guardo a destra e sinistra, poi do la risposta: ma perché c’è anche la selezione sessuale e la coda del pavone, pur essendo una penalità nella sopravvivenza dell’individuo, è un vantaggio riproduttivo. La gran coda variopinta e piena di occhi è prediletta dalle femmine. 

Le femmine del pavone hanno la chiave dell’evoluzione e dispongono di un enorme potere selettivo. E sapete perché prediligono quel tipo di coda? Perché possono permettersela solo gli individui più vigorosi. È come se il maschio dicesse alle femmine: «prendi me, sono evidentemente il migliore, non sprecare il tuo tempo e il mio con gli altri maschi di serie B». 

Naturalmente non mi permetterei di sostenere in proprio una cosa del genere, è la teoria di un biologo di nome Zahavi, il quale precisa che funziona solo se non si bara, perché chi spreca le risorse disponibili solo per atteggiarsi non sopravvive a lungo. 

Di mio, però, aggiungo una conferma storica. In fondo è come nelle relazioni competitive tra stati. Ad esempio Mussolini era un pavone che esibiva una gran coda, ma a conti fatti, all’esibizione non hanno corrisposto le risorse, e alla fine è risultato un pollo travestito da tacchino. 

Un po’ come Allegri, direbbe un mio amico che dopo decenni di tifoseria juventina è talmente disgustato dell’attuale dirigenza, e dall’attuale proprietà, che li vorrebbe vedere al muro dal primo all’ultimo, sia i proprietari che i dirigenti delle Juve. Quanto ai tifosi che continuano a sostenere Allegri, questo mio amico non si meraviglia più di niente, perché come diceva Hegel, ha detto un giorno, se i fatti non vanno d’accordo con la teoria, tanto peggio per i fatti.

 

Giovedì 31 

 

A proposito di fatti e teorie, e di come vengono spese le risorse pubbliche, ieri ho accompagno mia moglie all’ospedale Franchini di Montecchio per una visita con l’anestesista. Sono due anni che lei aspetta di essere chiamata per un’operazione. 

Dunque arriviamo a Montecchio, lei entra, io parcheggio e nell’attesa ascolto Tutti convocati, una trasmissione sul calcio di Radio24. Poi scendo, faccio una camminata verso l’Enza, quindi torno indietro e mi cade l’occhio sui tre pennoni posti nel piazzale antistante all’ospedale. Nell’ordine ci sono: la bandiera dell’Europa, quella italiana e da ultima la bandiera della regione Emilia Romagna. Perché tante bandiere davanti a un ospedale? Tre pennoni, tre bandiere: non è una spesa inutile? 

 

Un’ora dopo, quando esce dall’ospedale, vedo subito che mia moglie è scura in faccia. Le chiedo come va e lei dice che l’anestesista era incaricata solo della firma per il consenso informato. Non ha detto niente di più, non sa né dove né quando avverrà l’operazione, e nemmeno se sarà presente lei in sala operatoria. 

Dunque, in pratica, l’Ospedale di Reggio Emilia ha inviato l’incartamento di mia moglie al Franchini di Montecchio, da dove l’hanno chiamata per raccogliere la firma, e da dove l’incartamento verrà rispedito a Reggio Emilia. Quanto a noi, che abitiamo a Reggio Emila, invece di firmare a Reggio Emilia siamo venuti a firmare qui a Montecchio. Sono 22 km da casa nostra al Franchini, 44 in tutto, due ore tra viaggio e attesa, e considerando che lungo la strada da Reggio Emilia a Montecchio ci sono almeno tre autovelox, gli interrogativi si moltiplicano. Perché l’hanno chiamata al Franchini di Montecchio per una firma?

 

Poteva farla al Santa Maria Nuova di Reggio Emilia. E poi perché mettono l’autovelox su strade che non attraversano centri abitati, dove il limite ai cinquanta è del tutto inutile? E se fosse che convocano al Franchini sperando che l’automobilista reggiano cada nella trappola dell’autovelox? Ma allora bisognerebbe sospettare una complicità con l’AUSL di Reggio Emilia. Il mistero s’infittisce.

Ma io credevo che il vostro sistema sanitario funzionasse meglio, ripete mia moglie in macchina, ho sempre creduto nell’Emilia Romagna, dice inviperita. E io, che sono emiliano per tre quarti, non posso certo darle torto. 

Forse potrei metterla sul ridere facendole notare che nel piazzale del Franchini, davanti alla struttura ospedaliera, ci sono i tre pennoni con le bandiere dell’Europa, dell’Italia e della Regione Emilia Romagna. Ma in questo momento mia moglie è poco disponibile alla vena comica ed è meglio non dir niente delle bandiere.

 

Venerdì 1

 

Il meteo dei giorni scorsi annunciava per oggi un ciclone polare di aria fredda che avrebbe portato neve a bassa quota. Certo, trattandosi di una previsione relativa al 1° aprile, si poteva credere a uno scherzo. Ma il meteo precisava che l’evento era realmente previsto: una perturbazione molto intensa in arrivo dalla Norvegia settentrionale si abbatterà sul nostro Paese, crollo delle temperature in poco più di 48 ore, perfino sottozero in pianura, e neve a quote collinari.

Ma siccome oggi, qui nell’Emilia Centrale, dopo un po’ di pioggia è tornato il sole, e la temperatura è + 16° viene da credere che i meteorologi avessero per davvero voglia di scherzare. A meno che anche in questo ambito non sia in atto una vistosa regressione e non si stia tornando alla precisione di Bernacca.

Comunque la vita del filosofo è spesso inframmezzata da incombenze che lo distolgono dal cielo stellato della metafisica. D’altronde, nel microcosmo dell’essere umano si fa sentire ovunque l’effetto dell’entropia, da cui scaturisce di tutto: la rottura di un ingranaggio, la foratura di una gomma, l’otturazione di un lavandino. Tutto decade, e da qui sorgono le incombenze dovute alla necessità di reimmettere energia nel sistema. 

 

La filosofia può rivelarsi particolarmente utile perché essendo una conoscenza di tipo concettuale fornisce dei principi generali applicabili nei più svariati ambiti della vita domestica. Perciò, a casa mia, se si strappano le zanzariere e occorre sostituire il telo traforato, chiamano il filosofo. Se occorre fissare un lampadario collegando i cavi della corrente elettrica, chiamano il filosofo. Stessa cosa se si tratta di levigare e tinteggiare le persiane di legno scrostate per effetto degli agenti atmosferici. 

Io godo di un elevatissimo credito filosofico in quanto artigiano. E naturalmente non mi dispiace, vista la predilezione per Anassagora. Anche mia zia apprezza quest’attitudine filosofica, e così oggi sono andato da lei perché l’acqua non scendeva più nello scarico del lavello. È normale, nel lavello si ripuliscono piatti e pentole. Gli scarichi sono soggetti a incrostazioni di grasso. Si formano depositi melmosi di materiale organico. 

 

Spesso, per risolvere il problema basta smontare i tubi, lavarli e rimontarli. Però la disposizione dei tubi sotto un lavello può essere complessa e in questo caso non si tratta di imparare dei versi a memoria, si deve ricordare l’intera struttura logica dello scarico, ma proprio qui la filosofia aiuta, perché lo studioso di Kant, addestrato allo schematismo trascendentale della Critica della ragion pura, non ha nessuna difficoltà a ricostruire lo schema dello scarico idraulico.

Il problema è piuttosto quello dell’impatto olfattivo, perché smontare i tubi sotto un lavello è come incidere un tratto di intestino crasso non spurgato. Emana un fetore nauseante, e io ho dovuto allontanarmi due o tre volte per riprendere fiato e non vomitare davanti agli occhi di mia zia.

 

 

Sabato 2

 

Oggi la giornata è di cinque ore, e devo anche consegnare le verifiche in due classi, sempre un brutto momento, mi dispiace dare delle delusioni, ma quando entro in quinta non c’è ancora nessuno. Hanno fatto l’ultima versione di greco e sono andati in giardino con la professoressa per la fotografia di rito. Poi cominciano ad arrivare alla spicciolata, hanno un’aria distesa, quasi allegra. Meglio, mi dico io, saranno meno afflitti per il risultato della verifica di storia. 

 

Prima che io inizi a parlare, mentre in classe c’è ancora un po’ di via vai, s’avvicina una studentessa per dirmi che questa mattina, quando mi ha incrociato per strada, io non ho risposto al suo saluto. Per forza non ho risposto, non l’ho riconosciuta. Non so se sia una tradizione diffusa ovunque, ma qui, all’ultima versione di greco, o di latino, gli studenti si presentano in orario scolastico indossando un abbigliamento più consono all’orario da discoteca, e davanti a tanta metamorfosi io rimango sempre spiazzato. 

D’altra parte, loro non mi riconoscerebbero quando mi vesto per fare la raccolta delle olive nelle campagne di mia moglie, nel basso Salento, o meglio, come mi vestivo, perché il Salento ha subìto la devastazione della Xylella, un batterio che ha fatto seccare tutto, e adesso non c’è più niente da raccogliere, nelle terre di mia moglie.

 

 

Comunque, anche questa mattina scorre liscia: in alcune classi, gli studenti intravedono la fine delle restrizioni dovute al Covid e scalpitano per accostare i banchi; a noi professori arriva la raccomandazione di tenere salde le redini perché i contagi sono tutt’altro che scomparsi; nell’intervallo parlo con alcune colleghe più giovani di me, le quali sono però altrettanto stanche; nell’aula docenti alcuni si confrontano sulle scadenze per l’adozione dei libri di testo; altri ripassano le date dei consigli di classe, previsti nella settimana prossima; e all’uscita sento che molti ragazzi si accordano su come organizzare la serata: al Tunnel, ad esempio, o alla Fonderia, discoteche frequentate anche dai miei figli.

Poi, camminando verso il parcheggio con una collega di latino, il discorso cade sui cambiamenti intervenuti nella scuola, non quelli dovuti all’intervento ministeriale, ma i cambiamenti di fatto. Cresce il disagio, dice. In certe scuole si manifesta in forme aggressive verso gli altri. Altrove si presenta in forme di autolesionismo. Si diffondono i disturbi alimentari, i fenomeni depressivi, il ricorso al sostegno psicologico. Molti entrano alla seconda o terza ora, altri escono dopo l’intervallo. Chi è allergico, chi è annoiato, chi s’addormenta. Tutto è difficile. Verissimo, dico io, hai ragione.

E anche per questo, tornando a casa, mi fermo al Forno De Pietri a comprare mezzo chilo di pane, nonostante a casa ne sia rimasto da ieri, e nonostante i prevedibili rimproveri di mia moglie. 

Poi, appena risalgo in macchina, chiama mia zia per dirmi che l’acqua del lavello scorre bene però sotto, nello scarico, c’è qualche perdita. Ci sarà da stringere meglio una giuntura, dico io, passerò a controllare. 

Quindi accendo la radio e capito su un brano dal titolo Cigarettes After Sex, che mi ha fatto conoscere mio figlio. Ma a chi volesse ascoltarlo consiglio di cercare su You Tube il video in cui il brano scorre sulle scene di Lost in Tranlation, con Bill Murray e Scarlett Johansson.

 

 

Domenica 3

 

Perché un paesaggio diventa più interessante quando lo sta guardando un altro che volge le spalle verso di noi? Di preciso non lo so, ma sono sicuro che Luigi Ghirri, quando fotografava qualcuno di spalle, avvertiva lo stesso effetto che ho provato io guardando lo sconosciuto seduto nel prato.

Lo sguardo dell’altro rivolto all’oggetto che abbiamo davanti a noi incrementa il valore di quello che stiamo vedendo. Lo troviamo più intensamente, come sapeva anche Caspar David Friedrich, che piaceva molto a Ghirri

Invece la fotografia di qualcuno rivolto verso di noi ci attira non verso un oggetto ma verso lo sguardo stesso, a discapito dall’orizzonte, che diventa solo uno sfondo. Guardando la fotografia di qualcuno che ci sta di fronte, predomina l’espressione degli occhi, che sottrae qualcosa al paesaggio e attira come un buco nero nell’imperscrutabile profondità del soggetto. Proprio come succede quando c’innamoriamo e ci ritroviamo sbalzati fuori dal nostro baricentro.

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