I marziani di Orson Welles

5 Settembre 2016

Esce oggi presso l’editore FrancoAngeli il volume di Orson Welles È tutto vero. Marziani, astronavi e beffe mediatiche. Pubblicato in occasione dei cent’anni dalla nascita dell’autore, contiene il testo di Invasione da Marte, la trasmissione radiofonica che è stata la più importante beffa mediatica e ha fatto credere a molti americani la sera del 30 ottobre 1938 che fosse in atto un’invasione della Terra da parte dei marziani. Pubblichiamo un’anticipazione dalla postfazione di Vanni Codeluppi, che ha curato il volume.

 

L’invasione dei marziani che è stata raccontata alla radio da Orson Welles e dai suoi attori viene generalmente considerata uno dei casi più importanti di tutta la storia dei media. Le cosiddette «beffe mediatiche» realizzate nella storia dei mezzi di comunicazione sono infatti numerose, ma probabilmente nessuna ha ottenuto un risultato paragonabile in termini di attenzione sociale a quello che è stato in grado di raggiungere il radiodramma di Welles. Anche perché questa è stata la prima e dunque, in quanto tale, anche la più inaspettata. In seguito all’ascolto della trasmissione, molte persone sono state prese dal panico e hanno fatto di tutto: sono corse a telefonare ad amici e parenti per avvisarli del grave pericolo, si sono precipitate in strada o in chiesa a pregare, hanno cercato di scappare a grande velocità con la propria automobile o si sono rifugiate nei boschi. D’altronde, all’epoca la radio, nonostante fosse nata da pochi anni, rivestiva un ruolo sociale particolarmente rilevante. Era infatti il più importante mezzo d’informazione e, come tale, negli Stati Uniti era stata anche ampiamente legittimata dalle celebri «conversazioni al caminetto» condotte dal Presidente Roosevelt. 

 

 

Certo, come ha efficacemente messo in luce la rigorosa ricerca condotta a caldo dallo psicologo Hadley Cantril, le reazioni delle persone al radiodramma di Welles non sono state univoche. Innanzitutto va considerato che coloro i quali si sono fatti prendere dal panico sono stati calcolati come un milione e duecentomila unità su un bacino complessivo di ascolto di sei milioni di persone. E, più in generale, secondo Cantril le reazioni registrate erano influenzate soprattutto dal livello culturale delle persone. Vale a dire che, a suo avviso, nel corso della ricerca si è visto che l’istruzione «era una delle più grandi misure preventive del panico» (Livolsi). Chi era maggiormente dotato cioè di strumenti culturali era in grado di prendere più efficacemente le distanze rispetto all’evento mediatico. Dunque, come ha sostenuto Mauro Wolf proprio a proposito del panico suscitato dal radiodramma di Welles, va sempre considerato che il potere dei media, «che ci appare massiccio ed uniforme, è intessuto inestricabilmente con influenze e condizioni che sono fuori dal messaggio e dal mezzo di comunicazione». Il che non significa che tale potere non esiste, ma semplicemente che esso, per potersi manifestare, ha la necessità che si presentino delle particolari condizioni, come quelle che si sono verificate nel caso del radiodramma di Welles. 

Il notevole impatto sociale ottenuto da questo caso mediatico si deve prima di tutto a una felice intuizione di Welles, il quale ha pensato che un adattamento radiofonico del romanzo La guerra dei mondi di Wells potesse ottenere successo. I sedici testi letterari che aveva messo precedentemente in scena non erano andati molto bene e Welles puntava molto su questo per risollevare gli ascolti.

 

Si spiega così perché nei giorni precedenti la messa in onda fosse particolarmente ansioso. Aveva infatti paura di dover andare incontro a un altro insuccesso. Dopo quello che è accaduto la sera del 30 ottobre 1938, ha dichiarato più volte ai giornalisti che non si aspettava questa reazione da parte del pubblico del programma. Ma si trattava probabilmente di una tattica che Welles ha consapevolmente adottato per “sgonfiare” il caso ed evitare di subire delle pesanti conseguenze di tipo legale. Lo conferma indirettamente una testimonianza dello sceneggiatore Howard Koch, il quale durante la fase di riscrittura del testo di Wells si era reso conto che questo era difficile da tradurre per l’ascolto radiofonico e ha chiesto pertanto a Welles se fosse possibile sostituirlo con un altro. Questi però gli ha fatto sapere, tramite il suo co-produttore John Houseman, che La guerra dei mondi era per lui il testo più importante dell’intera serie. 

 

Si trattava d’altronde di un testo particolarmente adatto a un illusionista come Welles. Infatti, come ha scritto il suo amico scrittore Gore Vidal, egli «era un mago nel senso più autentico del termine, affascinato da giochi di prestigio, illusioni ottiche, contraffazioni, labirinti e specchi che riflettono altri specchi. Era un maestro nel trovare nuovi modi di vedere cose che gli altri non riuscivano neppure a scorgere». Sembra che sia stato il dottor Bernstein, un amico dei genitori che è diventato il suo tutore alla loro morte, a insegnargli da bambino come diventare illusionista, svelandogli i segreti della prestidigitazione e regalandogli un teatrino di marionette col quale ha potuto esercitarsi a lungo nell’arte della messa in scena. 

 

Ma, tornando al programma basato sul romanzo La guerra dei mondi, per comprendere il notevole impatto sociale ottenuto da tale programma è necessario considerare anche l’importante scelta di Welles di adattare il testo letterario al mezzo radiofonico utilizzando il particolare linguaggio che caratterizza i notiziari giornalistici. Ha cioè pensato di inserire il testo narrativo di Wells all’interno di una copia quasi perfetta di un’edizione straordinaria di un giornale radio dell’epoca. È stata soprattutto questa scelta che ha reso possibile per la prima volta all’interno del mondo dei media che un’opera di finzione narrativa mentisse ai suoi spettatori. Welles ha mostrato dunque che con i media era possibile ingannare e perciò che questi strumenti potevano anche essere utilizzati per finalità pericolose per la società. Sino a quel momento infatti le truffe e le menzogne erano ampiamente diffuse nella società, ma non venivano associate ai media. Cioè, come ha scritto Tiziano Bonini, le persone «Non credevano che la radio potesse mentire. Fino a quella sera del 1938 il confine tra finzione e realtà era chiaro: gli ascoltatori credevano di poter riconoscere il racconto della realtà (le notizie, i giornali radio) dal racconto finzionale (il radiodramma, la soap opera). Welles mescolò i linguaggi dei due generi ed aprì la strada a un lungo e mai terminato processo di ridefinizione del confine tra finzione e realtà». In seguito, infatti, il livello di alfabetizzazione rispetto al linguaggio dei media è cresciuto e le persone hanno imparato a individuare il confine esistente tra la fiction e la realtà, ma anche il sistema dei media, da parte sua, ha fatto contemporaneamente dei notevoli passi in avanti: sono arrivati nuovi strumenti di comunicazione e le tecniche di manipolazione del reale sono diventate più sofisticate e complesse. Pertanto, ha continuato a essere difficoltoso riuscire a riconoscere il confine esistente tra la rappresentazione mediatica e la realtà.

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