Françoise Dolto: tutti i grandi sono stati piccoli

25 Agosto 2022

Il bambino vive dietro le quinte. Guarda il mondo dal basso verso l’alto, è sempre un essere minuscolo tra colossi. Che sembrano presenze strane, sono quegli altri, i noi adulti. La postura iniziale, un fondo biologico-etologico, forse ancora prima che psicologico, è quella. Segna il nostro imprinting, crescere non basta per mutare. Il protendersi, fiducioso o meno, verso l’alto – verso un altro – è l’inizio della nostra storia. Intrecciata a quel verbo, dipendere, pendere da, restare attaccati solo con una mano, appesi, quasi a dondolare sospesi nel vuoto dell’incertezza, affidando la propria salvezza alla presa di qualcuno. Sensazione inquietante se temiamo che la presa possa in qualche modo allentarsi in parte o completamente, sensazione esaltante se siamo certi che la presa è sicura.

Françoise Dolto ricorda se stessa bambina pensare che “anche loro, gli adulti, sono stati piccoli” e si fa una promessa: “Quando sarò grande dovrò cercare di ricordarmi com’ero da piccola”. In famiglia dichiarava che sarebbe diventata “medico dell’educazione”, mettersi in ascolto del bambino diventerà il suo “metodo” e lo scopo della sua attività di psicoanalista. Quartogenita cresciuta tra fratelli più grandi, Françoise, nata nel 1908 in un ambiente borghese cattolico e conservatore, ricorda un’infanzia senza interlocutori. Rimarrà sempre difficile il rapporto con la madre ostile a questa figlia ribelle, che ha troppa immaginazione. Quando la sorella primogenita muore di cancro a 18 anni, l’accusa: “Vedi, non hai pregato abbastanza”. E così conferma i suoi sensi di colpa e la sensazione di essere diversa. Nasce un fratellino, Françoise se ne occupa e sperimenta con lui le risposte ai suoi perché. 

 “Ha acconsentito ai rinvii, ha tollerato i diversivi imposti, ha sopportato l’aggressività e la vertiginosa incomprensione con cui sua madre guardava al suo progetto” scrive, in una ricostruzione appassionata e appassionante delle sue vicende biografiche e della sua riflessione teorica, la psicoanalista Erica Ferrario in Françoise Dolto. Il corpo come teatro del desiderio, (Feltrinelli 2022). A partire dalle lacerazioni personali che alimentano la sua ricerca, l’autrice ricostruisce una figura atipica, oggi un po’ dimenticata, e sintetizza in densi capitoli tematici gli sviluppi di una teoria non sistematica, basata sull’esperienza di cura e su un’infinità di situazioni cliniche.

Nonostante gli ostacoli familiari e sociali che non lasciavano troppa scelta alle ragazze “perbene” – deve andarsene di casa perché la madre non sopporta una figlia che non vuole sposarsi –, a 78 anni, in un’intervista, Françoise Dolto afferma: “Del periodo della mia infanzia non conservo nessun rancore, non provo risentimento per la mia difficile giovinezza, anzi. Da una parte credo di essere stata molto, molto infelice (…). Ma credo che quella sia stata una scuola straordinaria per capire le differenze, le incomprensioni che possono esistere tra le persone che si amano di più e che avrebbero tutte le ragioni per amarsi se potessero capirsi e rispettarsi così come sono”.

La capacità di pacificarsi, di invecchiare con “serenità”, è il suo auspicio per le donne che hanno attraversato le diverse età della vita (cfr. Il desiderio femminile, prefazione di Silvia Vegetti Finzi, Mondadori 1994). Dall’analisi personale al passaggio dalla pediatria alla psicoanalisi, all’entrata nella Società psicoanalitica di Parigi e al suo rapporto di collaborazione con Lacan, al matrimonio con Boris Dolto, al suo ruolo di madre, al suo impegno sociale e alla sua fede: la sua postura etica, accogliente e aperta, si intreccia con i cambiamenti rivoluzionari degli anni Sessanta e Settanta.

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Per Dolto il centro è sempre il bambino, la sua dignità di piccolo essere, a lei si devono battaglie e conquiste oggi considerate scontate – l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approva il 20 novembre del 1989 il documento che riconosce i diritti dei bambini –, come la facoltà dei genitori di accompagnare il piccolo in ospedale. Sua è l’esperienza innovativa di La Maison Verte che accoglie bambini da 0 a 3 tre anni, dei tempi per le famiglie dove i bambini si conoscono e giocano mentre i loro accompagnatori adulti possono chiacchierare; il coinvolgimento attivo dei genitori nella terapia; l’invenzione della bambola-fiore, una margherita che il bambino può manipolare e umanizzare. 

Per Dolto il bambino è un essere capace di desiderio e di linguaggio ancora prima di nascere. È l’attenzione alle sue espressioni, verbali e preverbali, alle associazioni magiche di una “logica” simbolica e affettiva, che guida la sua intuizione e penetrazione nel mondo dell’infanzia. Françoise Dolto. Il corpo come teatro del desiderio è ricco di racconti, situazioni complicate, casi che appaiono enigmatici risolti con un gesto o una battuta – la capacità della psicoanalista francese di seguire i bambini a zig-zag fa venire in mente la grande terapeuta infantile Dina Vallino. 

In L’immagine inconscia del corpo (1984), sintesi del lavoro di una vita, teorizza un’immagine inconscia precedente a quella speculare, un intreccio tra lo sviluppo fisiologico, segnato dallo schema corporeo, e la possibilità di entrare in relazione con gli altri. L’incontro con lo specchio è una fase della costruzione di identità del bambino, quell’andar divenendo come lo chiama Dolto, nell’evoluzione del proprio sesso, che per assumere il valore di un riconoscimento va accompagnato dallo sguardo adulto che lo ratifica come sostiene Winnicott.

Dolto prende il bambino sul serio, sa che ascolta e capta ogni segnale che arriva dall’alto, per dare importanza al loro incontro si fa pagare con giochi, oggetti e sassi. Il suo è un parler vrai, “dire la verità ai bambini”, anche in casi di lutti, di malattie o di disabilità fisiche – non ci sono ancora ecografie e la vaccinazione di massa per la poliomielite arriva nel 1963. “Da un lato, scrive Ferrario, c’è l’idea che abbia senso parlare a un essere umano, per quanto piccolo sia, che abbia cioè sempre senso rivolgersi a lui come a un soggetto, supposto e sollecitato al tempo stesso, e dall’altro ci sono gli effetti che l’attuazione di quest’idea produce e che la confermano”.

Il suo grande carisma non le risparmia le critiche dell’ambiente psicoanalitico. Accusata di non avere un metodo, di essere junghiana e iscritta al Partito comunista (!), invitata a tenersi alla larga dei giovani nei quali suscitava un “transfert selvaggio”, non viene ammessa all’Ipa (International Psychoanalytical Association). 

La monografia di Erica Ferrario, curatrice di un volume di prossima pubblicazione Il pensiero e l’opera di Françoise Dolto, stimola a riletture e approfondimenti. A confronto con la Psicoanalisi al femminile (curata da Silvia Vegetti Finzi, Laterza 1992), o con il più recente Psicoanaliste. Il piacere di pensare, (a cura di Patrizia Cupelloni, Franco Angeli 2012). Rivoluzionarie per i tempi sono le riflessioni di Dolto sul desiderio e sulla sessualità della donna, scandalose anche per Lacan, sulla fecondità e sull’aborto. Oggi il contesto è mutato, ma il discorso sul femminile è spesso “concretista”, lontano dalla dimensione simbolica che attraversa il pensiero della psicoanalista francese. 

“Dolto, che ha suonato il violino e conosce la musica, scrive Ferrario, pensa il rapporto tra la sessualità e l’amore; la prima è una delle note che ‘suonano’ nel secondo, anche se emerge chiaramente solo quando, invece del suono della singola nota, si ascolta l’accordo e si distinguono le armoniche che quello contiene. In un accordo di do, ci sono, oltre al do, mi e sol”.

L’impegno sociale la porterà a lavorare gratuitamente per quarant’anni presso l’ospedale Trousseau e, dal 1976 al 1978, terrà ogni giorno una rubrica radiofonica durante la quale risponderà alle domande dei genitori, una divulgazione di contenuti psicoanalitici ancora impensabile all’epoca. Ci sarà poi l’école de la Neuville, ambientata in un piccolo comune della Normandia, un progetto educativo per ragazzi con problemi scolastici diretto da giovani in sintonia con le sue idee. 

E la fede: “Non credo che avrei potuto pensare di essere psicoanalista se non fossi stata credente”. Un senso religioso, un senso del mistero che caratterizza la sua sensibilità: “ogni giorno la piccola Françoise, che non aveva all’epoca più di quattro anni, veniva condotta dall’istitutrice, in compagnia dei fratellini, a fare una breve camminata che prevedeva il passaggio sopra un ponte pedonale sotto il quale sfrecciavano i treni a vapore. Il fumo ‘faceva scomparire il mondo (…) non si vedeva più niente, poi all’improvviso il mondo ritornava’ e, mentre iniziava la discesa dall’altro lato del cavalcavia, oltre i binari, la bambina si riprometteva di porre all’istitutrice una domanda che le ritornava alla mente ogni giorno, al ripetersi della medesima esperienza: ‘dovrà ben dirmelo, prima o poi, cosa c’è dopo la morte’”.

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