Francia senza identità

14 Novembre 2013

La Francia dei Lumi e dei diritti esprime i disagi dello squilibrio propri di un Paese che oggi è affetto da un malessere profondo. Se oggi si andasse al voto, il Front National (Fn) sarebbe il primo partito con il 24% dei consensi, seguito dai gollisti (Ump) con il 22 e i socialisti con il 19.

 

 

È un quadro che contraddice quello che siamo soliti identificare quando diciamo Francia, e il problema non è neanche quello di una singola forza politica. Questo è il mistero francese cui alludono Hervé Le Bras ed Emmanuel Todd nel titolo del loro libro. La domanda è: perché il voto populista attrae? Per rispondervi gli autori indagano la trasformazione della Francia degli ultimi trenta anni affrontando con metodo, ma soprattutto con molti dati, la crisi della società francese nell’epoca della globalizzazione.
Molti pensano che la causa principale sia la crisi economica. Ma la crisi non spiega tutto. La crescita esponenziale della dichiarazione di voto a favore del Fn fino a farlo divenire primo partito ha origini lontane, come spiega un’analisi multifattoriale che prende in carico varie cause.

 

 

Alcune sono squisitamente economiche. Per esempio il prodotto interno lordo passa da una media di 4,3% fino agli anni 70 a 1,8 nel 1984 senza mai superare da allora la soglia del 2 per cento. Dunque da una parte sta la sensazione di essere un’economia in declino. Altre sono sociali. Per esempio il fatto che aumenti la massa dei diplomati rispetto a cinquant’anni fa (dal 23 al 65 %), ma senza che si dia un avanzamento o che il merito sia premiato. Altre sono invece culturali, per esempio l’abbassamento del cattolicesimo praticato. Un aspetto che è molto importante in un Paese in cui i cattolici non sono mai stati partito, ma hanno sempre rappresentato uno stile di vita, caratterizzato da pratiche culturali e sociali e da luoghi di eccellenza che formavano comportamenti, classe dirigente, cultura.

 

Altri dati dominano su questi fattori. Dati che Le Bras, un demografo attento ai comportamenti, e Todd, un antropologo attento alla trasformazione e all’interpretazione dei sentimenti, mostrano con acutezza. Le donne, prima di tutto. S’innalza la scolarizzazione femminile, ma poi questa non significa eguaglianza reale, perché la filiera del sapere scientifico come di quello tecnico rimangono ancora a supremazia maschile. Dunque le donne di domani non hanno ridotto quel gap.

 

 

Un secondo aspetto su cui Le Bras e Todd richiamano l’attenzione è il tasso dei suicidi. Fenomeno in crescita in quella fascia di età che sta in mezzo, tra i 45 e i 55 anni, segno evidente che la società francese, che pure ha avuto un processo di conversione di massa alla tecnica e al digitale (tra i più alti in Europa), fa fatica ad adeguarsi quando la «crisi morde». Ma anche scelta che indica solitudine e anomia sociale.

 

 

Su tutti tuttavia domina un fenomeno che costituisce un indicatore significativo della profondità della crisi e su cui gli autori insistono. Arretra il processo d’integrazione nelle grandi aree urbane, mentre si mantiene uno spirito comunitario nelle aree maggiormente periferiche. L’ineguaglianza culturale, e dunque il disagio, non si colloca nelle regioni più arretrate (per esempio la Bretagna), ma in quelle maggiormente investite dai processi di postmodernità (per esempio l’Ile de France, ovvero Parigi). Un dato che esprime la rivincita del villaggio sulla città; dello spirito comunitarista su quello liberale e individualista. Diversamente si potrebbe dire: la famiglia-ceppo torna a prevalere su quella mononucleare.

 

 

Questo dato indica che il malessere che tutti avvertono si ritiene sia più efficacemente contrastato dalle scelte di vita più tradizionaliste e in quelle realtà dove il controllo sociale è più forte.
Dunque la crisi sociale della Francia è prima di tutto crisi dei percorsi emancipativi individuali fondati sul rifiuto della tradizione, propri delle rivolte giovanili degli ultimi cinquant’anni. Sentimenti che significano ricerca della «Vecchia Francia». Il Fn vince perché è avvertito come espressione autentica della storia nazionale. Un aspetto che richiama il mito della Francia di Vichy anch’esso fondato sul riscatto della tradizione e sul primato della provincia contro la città industriale. Una realtà in cui l’insediamento agrario e la divisione del campo per appezzamenti, come ha rilevato Marc Bloch in uno studio classico (I caratteri originari della storia rurale francese, Einaudi 1973, ed. or. 1931), esigono una «grande coesione sociale, una mentalità comunitaria».

 

Infine il voto al Fn esprime sia un sentimento locale sia una condizione collettiva. Quel voto denuncia l’angoscia delle periferie terrorizzate dall’eventualità che il legame sociale della comunità si spezzi, attraversate dalle paure di ciò che può arrivare da "fuori". La sua geografia è collocata nell’estremo Est della Francia e nella zona mediterranea sud; ha una barriera di contenimento nella Francia occidentale, che il Fn conquista solo al primo turno delle presidenziali del 2012. Nella stessa occasione il partito di Marine Le Pen prende il voto operaio nelle roccaforti comuniste di un tempo – Alta Normandia, Pas de Calais, Picardia – con percentuali intorno al 40% (27% su tutto il territorio nazionale).

 

 

Non solo. Quel voto esprime anche: preoccupazione per la perdita di competitività internazionale; percezione del crollo della propria «potenza»; timore del «declassamento». Sentimenti che agiscono sulla convinzione, più che sulla realtà. Infatti lo stato sociale ancora funziona e la capacità d’innovazione culturale è ancora rilevante. Ma non basta: ciò che manca è un’idea di futuro. Una condizione che, peraltro, si rispecchia nella crisi di progetto dell’Unione eropea, dato che non è solo francese. Per questo la crisi odierna della Francia parla alle altre democrazie europee e le interroga in relazione al deficit di progetto di cui anch’esse soffrono.

 

 

Questo articolo è apparso precedentemente su la Domenica del Sole 24 Ore

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