Franca Ongaro Basaglia: la forza gentile del codice femminile

15 Settembre 2022

Richiama continuamente il più famoso verso di Saffo, la lettura della storia di vita di Franca Ongaro Basaglia. “C’è chi dice che un esercito di cavalieri, di fanti,/ una parata di navi sia la cosa più bella sulla terra nera,/ io ciò che si ama”. Le note e rivoluzionarie vicende di giustizia, scienza e libertà che si consumano in una terra di mare come Trieste, rompendo le mura dei manicomi; persino la potenza immaginativa che crea Marco Cavallo e segna una svolta nei diritti degli esseri umani ad essere considerati per quello che sono ed esprimono in ogni differenza più una che portano con sé, sono una trama di cui lo stile e il codice affettivo femminile di questa donna tenace e assidua tessono l’ordito. La sua vita e il suo pensiero, narrati con accurata documentazione e rigorosi riferimenti da Annacarla Valeriano, emergono nitidi dalle pagine di Contro tutti i muri. La vita e il pensiero di Franca Ongaro Basaglia, Donzelli, Roma 2022.

Il racconto diviene progressivamente all’altezza di una storia di civilizzazione, in cui gli esseri umani si fanno capaci di un salto di qualità esistenziale, mostrando un volto – di cui essere orgogliosi – dell’Italia come avrebbe potuto e come potrebbe essere. Quella che è stata una rivoluzione culturale, scientifica e civile tra le più importanti del Novecento e della storia tout-court, trova la sua anima nel percorso di ricerca, narrativo ed esistenziale di Franca Ongaro Basaglia. Anche nel progressivo e non facile sottrarsi ad una posizione ancillare, in un paese e in una cultura dove il maschilismo non è solo la normalità, ma è addirittura naturalizzato come la più scontata delle modalità di esistere e relazionarsi.

Percorrendo il cammino di una vita di ricerca e impegno civile, emerge in tutta la sua portata il rapporto tra l’angoscia di certezza, che così spesso prende il sopravvento, e le difficili vie per abitare l’incertezza costitutiva della nostra esperienza. La ricerca delle condizioni per elaborare in maniera non riduzionista il conflitto è una delle costanti della ricerca di Franca Ongaro Basaglia, a partire dal conflitto generativo tra salute e malattia. 

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Il nostro vero problema, infatti, non è essere certi, ma come divenire capaci di essere incerti. È l’incertezza la nostra condizione costante. Cerchiamo, invece, di abitare, perlopiù tacitamente, la certezza, e in essa ci rassicuriamo. Trasformiamo le discontinuità in consuetudini, neutralizzando il dubbio e la sua fecondità. Dell’incertezza siamo divenuti capaci di accorgerci con l’avvento evolutivo del comportamento simbolico, sembra non più di duecentomila anni fa circa.

In effetti l’incertezza implica una capacità di presa di distanza dalle cose e da quello che accade, trasformando cose e accadimenti da affezioni in eventi, come la trasformazione dal solo essere un corpo alla consapevolezza di averlo. È la conoscenza di sé stessi, cioè il rivolgere a sé la capacità conoscitiva, combinando mente naturale e mente riflessiva, come sostiene Antonio Damasio, che, mentre ci fa umani ci trascina nella scoperta dell’incertezza. Le cose in sé e le cose proprio così scompaiono per sempre per noi, e giungiamo a cose e accadimenti per via di attribuzione di significati e per sense-making. L’incertezza diventa la proprietà costitutiva del mondo. Ci scopriamo ad approssimarci agli altri e al mondo e l’incontro non ha più esiti certi e dati. Nulla coincide più con sé stesso e il nostro agire non sarà mai più immediato e pratico. Sarà per sempre la messa in atto di qualcosa a partire dal significato attribuito al mettere in atto, con la distanza relativa tra noi e la cosa. Persino il pensiero sarà l’esito della nostra capacità di pensarlo.

È l’incertezza, madre della nostra esperienza di noi stessi e del mondo.

Il manicomio, come la guerra, si configurano, a partire da questa prospettiva, come una regressione al grado zero dell’ossessione della certezza. 

Possiamo scoprire, elaborando la nostra angoscia di certezza, che non vi è solo l’antagonismo, cioè il mors tua-vita mea, o solo il dentro o fuori; che non vi è solo l’accordo pacifico; ma nella maggior parte dei casi siamo nella condizione di confrontarci con le differenze di idee, di conoscenze, di valori, di orientamenti, di interessi, di culture. È proprio l’elaborazione di quelle differenze che arricchisce la vita e apre all’inedito, a quello che non si era mai visto e alle possibilità di cambiare e innovare noi stessi e il mondo. 

A 17 anni dalla scomparsa di Franca Ongaro Basaglia, cercando di fare un bilancio provvisorio della sua presenza, della sua testimonianza e del suo contributo scientifico e politico, è possibile riconoscere nel suo impegno che è durato un'intera vita, la centralità dei bisogni reali delle persone e, soprattutto, la critica e la lotta contro ogni sistema e contro ogni istituzione totali. Le modalità e i processi di costruzione delle forme totalitarie nelle relazioni, quelle in cui l'elaborazione dei conflitti anziché essere affrontata è negata e le semplificazioni producono sempre gli stessi risultati, con la vittoria del polo più forte del conflitto, sono stati tra gli interessi centrali nella sua ricerca. Secondo lei la complessità comporta l'esigenza di accogliere il conflitto insieme a una messa in discussione dell'individuo, della collettività, dei ruoli, delle regole, della scienza e della politica. I meccanismi di costituzione dei sistemi totalitari, analizzati in molti dei loro risvolti più rilevanti, richiamano nella sua analisi aspetti che assumono una connotazione sottile e difficile da svelare, se non attraverso le vie della narrazione, così come accade ad esempio nel libro di Lea Ypi, Libera. Diventare grandi alla fine della storia, Feltrinelli, Milano 2022.

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L’autrice, che insegna filosofia politica alla London School of Economics, è riuscita a cogliere in un profondo cambiamento d’epoca le vie di costruzione delle forme totalitarie e la difficile conquista del loro disvelamento, tra crollo dell’ideologia, guerra, perdita e incertezza. Da un lato si colloca il risveglio lento e impegnativo, mentre dall’altro emerge il volto tetro e cupo della normalizzazione totalitaria in un disvelamento dell’amore per la libertà, che è forse la chiave del libro. La claustrofobia delle istituzioni totali che Ypi descrive finisce per divenire idealtipica, grazie alla forza della narrazione, e mostra le sue affinità e le sue costanze con il problema della liberazione dalle gabbie delle istituzioni totali e totalizzanti, così rilevante per la ricerca di Franca Ongaro Basaglia.

È solo tenendo aperta una finestra sull’impossibile, muovendosi in un’utopia della realtà, che si possono creare le condizioni per scatenarsi e scatenare mente e corpo dalla normalizzazione che ogni prospettiva binaria e totalizzante tende a imporre nel tempo. Annacarla Valeriano, commentando il lavoro di Franca Ongaro Basaglia, amplia il discorso riferendolo alla medesima utopia della realtà che spinse e spinge tanti uomini e donne a mollare le redini della razionalità consolidata per cavalcare il sogno di assicurare una vita più umana agli ultimi, a coloro che non erano mai stati garantiti nei diritti e nei bisogni.

Certo, si tratta di una sfida al pensiero comune e a quella che Furio Jesi ha chiamato la macchina ideologico-linguistica di ogni totalitarismo: una trama di luoghi comuni, stereotipi, frasi fatte, formule che paiono chiare e che tendono a presentarsi come verità, ma che non richiedono di essere capite, che anzi sembrano chiare proprio perché non devono essere capite, riducendo le parole a ciò che sarebbe già in noi prima di tutte le parole. Poche realtà come il disagio e il male mentale si prestano a un simile processo di naturalizzazione e normalizzazione, come mostrano le derive attuali della psichiatria organicistica e chimico-farmacologica nei trattamenti. Il nostro ossessivo bisogno di certezza e di rassicurazione ne risulta soddisfatto e il pensiero critico viene escluso dalla pervicacia della semplificazione.

Del resto, come Franca Ongaro ha sostenuto: non esiste libertà se non nel legame che ci aiuta a lottare contro ciò che ci divide. Questa importante affermazione scritta nell'introduzione al libro di Moebius, L'inferiorità mentale della donna, Einaudi Torino 1978, apre un altro campo di impegno al quale Franca Ongaro ha dedicato una parte importante della propria vita, quello della condizione e dell'emancipazione femminile, intravedendo nella capacità di gestire le contraddizioni del rapporto tra uomo e donna un'opportunità per creare un legame dal quale far scaturire qualcosa che prima non c'era, qualcosa che non esiste nell'uno o nell'altro ma che esiste in quel due che si crea.

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L'agire congiunto, l’agire insieme, il dialogo, sono costanti della sua attenzione di ricerca e la base per comprendere la dimensione relazionale del male mentale. La repulsione derivante dalle prime immagini viste al manicomio e l'accorgersi che l'anima dei ricoverati non c'era più, lasciando il posto a uno spazio freddo solcato dai morsi dell'afflizione e dell'abbandono, diventano le leve per l'impegno degli anni trascorsi a Gorizia che culminano nella pubblicazione di un libro particolarmente importante, L'istituzione negata, del 1968, all'interno del quale compare un suo contributo che mette in evidenza il conflitto come necessità e la diversità come ricchezza.

Il circuito perverso dell'istituzionalizzazione viene riconosciuto dalla studiosa nel momento in cui il malato per riuscire a sopportare la propria situazione finisce per identificarsi con i valori dell'istituzione stessa, adottando un atteggiamento di completa soggezione. Lo stile di Franca Ongaro a proposito delle sue importanti riflessioni compiute sulle pratiche di istituzionalizzazione fu agevolato dalla sua capacità di non semplificare mai la complessità dei problemi e di restituire profondità a tutte le dimensioni possibili dell'esistenza.

La lotta contro la violenza all'interno delle istituzioni manicomiali diviene la base per iniziare a sperimentare un dialogo continuo tra medici, pazienti e infermieri, abbracciando una socialità inedita che spesso sfociava anche in forme di opposizione dialettica, ma che proprio per questa sua carica contraddittoria era utile a far recuperare agli esclusi la loro voce perduta mettendo in discussione la realtà fino a quel momento vissuta.

Da un mondo in cui non esistevano più né soggetti né corpi, da un mondo di persistente e accettata esclusione, si cerca la via per passare a infrangere il muro di omertà intorno ai manicomi, mostrando ciò che accade al vinto con il quale non si può comunicare perché parla una lingua diversa, ma per cui vale la legge della forza che riconosce a priori il suo linguaggio incomprensibile al servizio del vincitore. In questo processo di ricerca e applicazione Franca Ongaro vide germogliare la sua vera vocazione: fu quasi naturale per lei smettere i panni della scrittrice di racconti per bambini per trasformarsi in saggista, come si sarebbe descritta anni dopo in una breve nota biografica.

L'impegno profuso in una serie di libri fondamentali fu quello di indagare la natura dei meccanismi di sopraffazione per la messa in evidenza e il superamento dei quali il suo lavoro si rivelò determinante. Si arrivò così a studiare ed evidenziare il valore riabilitativo della comunità terapeutica al fine di valutarne la reale efficacia, non senza una critica al rischio di tradursi in una nuova ideologia del momento, a causa di una relativa chiusura e della difficoltà di dialogare con l'esterno. Si trattava di individuare i processi attraverso i quali veniva attuata scientificamente la criminalizzazione della malattia e della devianza, ricostruendo le dinamiche che trasformano i bisogni della classe oppressa in crimini da punire.

Allora la via era gettare un ponte su “il dentro e il fuori”, sull'unione dentro-fuori perché la realtà è un dentro e un fuori costantemente collegato. Si trattava quindi di scardinare le porte che dovevano aprirsi verso la vita e verso il mondo, ma anche verso altre porte chiuse che sono quelle delle nostre stesse menti, prigioniere di tutte le reti ideologiche che ci determinano. Emerge nel lavoro di Franca Ongaro il valore della cultura che rappresenta un simbolo che si realizza nel momento in cui viene utilizzato.

Possedere il bene simbolico della cultura vuol dire possedere un bene reale, perché significa conoscere l'alfabeto dei diritti dell'uomo da cui i diseredati erano sistematicamente esclusi, come se si trattasse di una lingua straniera che non contiene vocaboli che riguardano i loro diritti e i loro bisogni. Considerando le specificità della lotta contro le istituzionalizzazioni condotta da Franca Ongaro, Annacarla Valeriano richiama la constatazione della comune radice umana della sofferenza che non fu mai vissuta con lo slancio di un sentimento, ma nelle forme di una vera e propria decisione politica orientata a rendere meno corrotto un sistema che si opponeva quotidianamente a un’autentica prospettiva riabilitativa, per instaurare un'istituzione impregnata di spirito filantropico.

La psichiatria, al contrario, doveva tornare a operare su un piano etico e sociale, non dimenticando di trovarsi di fronte a un uomo e non a una malattia cui far aderire i sintomi, una categoria in cui rinchiuderlo, o una mostruosità da allontanare. Si verificò così uno spostamento dalla malattia alla sofferenza nel momento in cui si incominciò a vedere e a capire come si esprime il dolore non più imbavagliato dall'istituzione e dalla psichiatria. Tutto ciò portò i ricoverati a conquistare una nuova condizione nella quale ognuno si assumeva il rischio della libertà. Ciò che concretizzò l'esperienza di Franco e Franca Ongaro Basaglia fu per molti aspetti un vero e proprio esperimento di libertà, caratterizzato dal coraggio di saltare nell'abisso della libertà, al fine di cercare di regalare un secondo tempo a soggettività fino ad allora messe a tacere.

L'impegno parlamentare di Franca Ongaro Basaglia – successivamente alla morte prematura e improvvisa di Franco Basaglia – che si espresse in due legislature nelle file della sinistra indipendente, fu coerente con l'intero percorso della sua vita di studiosa e di persona impegnata per l'emancipazione dei più deboli. La continua denuncia della mancata attuazione dei provvedimenti previsti dalla legge 180 e dalle chiusure dei manicomi, così come l'impegno per l'emancipazione femminile e per una cultura e una prassi della salute basata sulla prevenzione, hanno lasciato tracce importanti nelle scelte compiute in quegli anni a livello parlamentare. A distinguere però in maniera particolarmente unica e rilevante nella storia italiana e non solo, e nei processi di liberazione e di ricerca di giustizia sociale, il lavoro di Franca Ongaro è in primo luogo, probabilmente, il suo stile.

Caratterizzato da un rigore e una determinazione che potevano persino apparire fragili e che regolavano il suo modo di argomentare, di agire di proporre, come abbiamo provato a sostenere all'inizio di questo contributo, il suo stile richiama costantemente il valore distintivo del codice femminile.

Da qui l'associazione al bellissimo libro di Silvia Romani, Saffo, la ragazza di Lesbo, Einaudi, Torino 2022. Quella presenza inquieta ma determinata, apparentemente in secondo piano ma centrale, sensibile ma allo stesso tempo coraggiosa, che non si incontra spesso nella vita, è ciò che ha caratterizzato, tra l’altro, l'esperienza esistenziale di Franca Ongaro Basaglia. L'incontro con il suo pensiero si associa perciò alle più elevate manifestazioni del codice femminile e materno, di quella forma di forza fragile e di vulnerabilità tenace che mostra determinazione e impegno fino all'ultimo respiro, per cercare di cambiare in una direzione più libera e più giusta l'ordine del mondo.

 

Per la foto di Franca Ongaro ringraziamo l'Archivio Basaglia

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