Diario di una maestrina

13 Luglio 2022

“Una supplenza di quindici giorni in una scuola di tricofitici e di tracomatosi. Bisognava partire subito, il titolare si era ammalato e i bambini già da due giorni non avevano il maestro… Dimenticai gli impegni mondani e con entusiasmo iniziai la mia nuova vita”.

Comincia così il “noviziato vagante” di Maria Giacobbe, “ragazza di buona famiglia”, “maestrina” nella Sardegna a metà degli anni cinquanta, dove la Scuola è un precario avamposto della civiltà. 

I luoghi toccati: Oliena, Fonni, Bortigali, Orgosolo, e “stazzi sperduti lungo la costa, villaggi aggrappati alle falde dei monti”, terre e paesi dal cuore antico, affondati nella miseria, nel pozzo nero di un Destino d’immobilità che appare senza riscatto. La Sardegna è imbrigliata, ferma, poche speranze, poco futuro: si può solo scappare, e lo faranno in molti, Nord Italia, Torino soprattutto, Francia, Germania, dove il Destino sembra allentare la sua presa o indossare altre maschere.

Entriamo a scuola, “una piccola e tiepida stanza in una casetta decrepita ai margini del paese… Il pavimento era di semplice terra battuta… I banchi erano lunghe assi sgangherate su ciascuna delle quali sedevano cinque-sei bambini. Quando uno di loro aveva bisogno di uscire, tutti gli altri dovevano spostarsi”. I ragazzi (“sfigurati dalla tigna”) appaiono vivaci e intelligenti. Ma la “maestrina” fatica ad avvicinarli. Li vorrebbe coinvolgere, ma niente da fare. Restano distanti e diffidenti, pezzi di ghiaccio: “si sforzavano d’ignorarmi”. Quindici giorni non basteranno per sciogliere quelle lastre di ghiaccio.

Va meglio nella scuola per adulti di Oliena, alle porte di Nuoro, un paese di settemila anime, senza acquedotto né fognature, e con un alto tasso di tubercolosi. Gli alunni sono “trenta uomini tra i diciotto e i venticinque anni, più un vecchio di circa sessanta”. 

Racconta Maria Giacobbe: “Quando per la prima volta, mi trovai sola con essi in fondo a un lungo andito deserto ebbi paura”. La scuola di Oliena gode di una pessima fama, amplificata dalle voci che corrono in paese: una maestra, si dice, è stata costretta a ritirarsi dopo un solo mese, altre insegnanti si sono decise a far lezione protette dai carabinieri. 

Vinto lo smarrimento e la prima paura, Maria Giacobbe gioca la sua carta, piegando i caratteri più aspri. E la sua carta è la parità, praticamente un miraggio per quegli alunni adulti da sempre assuefatti a una silenziosa sottomissione: “Non voglio che qui ci siano una maestra che parla sempre e degli alunni che ascoltano; abbiamo quasi la stessa età, dobbiamo essere un gruppo di amici che lavorano insieme”.

Le parole di Maria Giacobbe fanno breccia. I ruvidi contadini, la “feccia di Oliena” tanto temuta, sono stati ammansiti con una semplice offerta d’amicizia. E anche il processo d’apprendimento si fa più spedito. Gli uomini che arrivano a scuola dopo una sfibrante giornata di lavoro iniziata all’alba, hanno “ansia d’imparare, bruciando le tappe”, e lo chiedono, lo esigono, rimproverano la “maestrina” quando si avventura in territori che, a loro giudizio, sono estranei all’insegnamento. A che serve parlare della Costituzione?

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Maria Giacobbe capisce che, per i suoi ragazzi-adulti che hanno perso il mondo semplicemente nascendo, quella sgangherata aula scolastica è diventata il mondo, e l’alfabeto, su cui si affaticano, o l’astrusa aritmetica, sono le sue lingue, tutte da imparare. “In questa scuola, scrive Maria Giacobbe, forse, per la prima volta, sentono di far parte di una società civile nella quale gli uomini si distinguono dalle bestie non solo perché un pò meglio si sanno difendere dalle intemperie, ma soprattutto per la capacità di capire e di esprimere l’essenza delle cose”.

Poi, tre anni a Orgosolo, Barbagia. Un tuffo nella Sardegna più profonda. E sentimenti nuovi, inattesi.

Alla metà degli anni cinquanta Orgosolo non è facile da raggiungere. Il “postale” lo fa per dovere istituzionale, traballando sulla strada di montagna, avvolto nella polvere che solleva.

Franco Volta il fotografo che nel dicembre del 1954 accompagna il sociologo Franco Cagnetta nella sua “Inchiesta su Orgosolo” (pubblicata su “Nuovi argomenti” l’anno successivo) racconta di aver provato, entrando in paese, “una fortissima emozione… un salto indietro nel tempo”. Spinto dall’inchiesta di Franco Cagnetta, nel 1961, Vittorio De Seta girerà Banditi a Orgosolo, epica di un altro mondo, prima che sopraggiungesse la Storia.

E Maria Giacobbe, la “maestrina” ormai prossima ai trent’anni, come guarda al paese che è stato definito l’“università del crimine”? Come ci vive dentro? Difficili gli inizi, come sempre, e tanti interrogativi che Maria si porterà appresso per tutto il tempo della sua permanenza: “Come è veramente questa gente e chi ne può dire nulla di certo? Anche i bambini sono difficili da capire, imparano presto a sapere ciò che deve essere taciuto”.

Nulla di certo. E forse capire non è neppure tanto importante, anche se Maria Giacobbe ha sempre spinto i suoi ragazzi a darsi gli strumenti per poter capire il mondo, e stare in esso sensatamente, con responsabilità. Ha seguito questo filo il “noviziato vagante” della “ragazza di buona famiglia”. Si è spezzato più volte sul muro della diffidenza, logorato dalla distanza. Ma non è la spinta a capire il punto d’arrivo del racconto di Maria Giacobbe. Non è il capire, ma un nuovo sentimento, il sentimento di fraternità:

“Adesso sono tre anni che insegno a Orgosolo. Tre anni in cui tanti cliché che avevo quando arrivai sono scomparsi e un nuovo sentimento li ha sostituiti: sentimento che è di affetto e di solidarietà per questi bambini, per le loro mamme, per i loro padri e fratelli. Orgosolo non è più l’Università del delitto.

Tutti nel paese mi conoscono e tutti mi salutano; entro nelle loro case e mi scaldo alla fiamma dei loro focolari, ascolto le loro storie e partecipo ai loro drammi, bevo il loro caffè e mangio le loro patate. I loro problemi sono i miei problemi, perché questa è la mia gente”.

Come molti dei suoi ragazzi, Maria Giacobbe si allontanerà dalla sua gente. Nel 1958, poco dopo aver concluso e dato alle stampe il Diario di una maestrina, pubblicato nel ’57 nei “Libri del tempo” dell’editore Laterza, si sposerà con uno scrittore danese, Uffe Harder, andando a vivere a Copenaghen, dove tuttora vive. Senza mai dimenticare la sua gente.

FONTI:

Maria Giacobbe, Diario di una maestrina, Nuoro, 2020.

Mirko Grasso, Scoprire l’Italia. Inchieste e documentari degli anni cinquanta, Lecce, 2007.

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