Colori 3. Storia del Blu

23 Luglio 2022

All’inizio il blu non c’è. Assente nelle pitture parietali del Paleolitico, dove dominano i rossi, i neri, i bruni e gli ocra; niente nel Neolitico, dove appaiono il giallo e il rosso; presente nell’antico Egitto, ma solo nella pittura funeraria; in Grecia è raro e a Roma considerato un colore cupo, di cui si tingerebbero i popoli barbari. Strano, eppure il colore che oggi la maggior parte degli abitanti del Pianeta, con l’eccezione di alcuni paesi orientali, dicono di preferire in assoluto, è stato per secoli il meno amato. Una ragione c’è.

Pur essendo così presente in natura, il blu è difficile da padroneggiare e soprattutto da riprodurre. Per questo, come scrive Michel Pastoureau, ha avuto per lungo tempo un ruolo secondario nella vita sociale e, poiché il colore è prima di tutto una costruzione sociale, la sua assenza costituisce una vicenda interessante. Certo il colore è un fenomeno visivo, un evento biologico prima di tutto, ma non bisogna sottovalutare la sua percezione, un fenomeno culturale. Pastoureau parla di colore “reale”, colore percepito e colore nominato, tre realtà assai diverse tra loro per indicare il medesimo “oggetto”, così che il colore rappresenta qualcosa di misterioso e persino d’inafferrabile.

Il chimico lo vedrà in modo diverso dall’artista, il linguista dal neurologo, lo psicologo dallo storico; tuttavia, ripete lo studioso, i problemi del colore sono “in gran parte sociali e ideologici”. La storia del blu è lì a dimostrarcelo. Nella sensibilità del mondo classico e di quello medievale i due assi principali del colore sono la luminosità e la densità, così che la coppia fondamentale è costituita dal bianco e dal nero; è il rapporto con la luce, con la sua intensità e purezza. Il rosso è poi il terzo colore presente: nero cupo, rosso denso, entrambi opposti al bianco. E il blu? Per esserci c’è, ma bisogno di averlo a disposizione come pigmento ricavato da una pietra, il lapislazzuli, e come pigmento, attraverso il guado, una pianta erbacea.

La storia del blu è legata alla possibilità di disporne come materia colorante. Fino al XIII secolo dell’età cristiana non è presente nell’abbigliamento, per quanto in Oriente una materia colorata blu esiste, l’indaco, proveniente da un arbusto dall’India. Fino a che nella teologia il colore non è stato pensato come luce, ma solo come materia, ovvero come qualcosa di spregevole, il blu sarà assente. La rivoluzione comincia con l’abate Suger nella chiesa di Saint-Denis: il blu è luce, luce divina nelle vetrate dopo l’anno 1000.

A dar man forte a questo cambiamento arriva il manto della Madonna, il blu divino, e poi anche i re di Francia, che da San Luigi in poi lo indossano e lo pongono nel loro stemma. A favorire l’avvento del blu sono i progressi nella tintura con l’estendersi della cultura del guado. La storia del colore la fanno i tintori con le mescolanze e la mordenzatura, come racconta Philip Ball, anche se non si sa bene se è la società ad aver imposto ai tintori il blu o piuttosto il contrario. Fatto sta che ora economicamente il blu paga ed è molto richiesto: chimica e simbolismo non sono facilmente dissociabili. A metà del XII secolo a un nuovo ordine sociale corrisponde un nuovo ordine dei colori. Da tre si passa a sei: bianco, rosso, nero, blu, verde e giallo.

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L’asse rosso-blu diventa fondamentale: sono colori contrari e lo restano ancora oggi. A dargli una mano sarà poi la promozione del nero verso il 1360-80; due secoli dopo s’impone infatti il blu scuro, che sfugge alla cromofobia dei riformatori protestanti. Nella pittura il problema del blu continua a sussistere; per fissarlo e usarlo su grandi superfici non bastano il costosissimo lapislazzulo, l’azzurrite, lo smalto e neppure i colori vegetali tratti dal guado e da bacche diverse. Tutto cambia nel 1709 quando a Berlino nasce un colore artificiale: il blu di Prussia. Nasce, come spesso capita, per caso: J. J. Diesbach e J. K. Dippel sono i due creatori.

Il secondo, chimico e uomo d’affari, capisce come sfruttare l’unione di potassa e solfato di ferro, fino a che nel 1724 un chimico inglese ne rivelò il segreto. Ma è un poeta e scrittore a dare la spinta maggiore alla diffusione del blu: J. W. Goethe con il suo romanzo epistolare I dolori del giovane Werther. Il successo del libro porta alla moda dell’abito blu “alla Werther”: la tenuta dell’uomo innamorato. Goethe è anche l’uomo della Farbenlehre, la dottrina del colore, pubblicata nel 1810: il blu e il giallo contrapposti sono i poli del suo sistema cromatico che polemizza con i sette colori di Newton.

Il blu diventa il colore romantico e malinconico per eccellenza, legato alla poesia e al sogno. Così la tinta dei degenerati e dei barbari comincia la sua inarrestabile conquista del mondo. A contribuire a questo è servito anche un capo d’abbigliamento, i jeans? Pastoreau sostiene di sì. Di certo tra le due guerre mondiali il nero si trasforma in blu scuro e nel 1853 un venditore ambulante ebreo di New York comincia da San Francisco la rivoluzione dei calzoni usando la tela da tende. Di sicuro il cambiamento è dovuto alla Riforma, quando il blu si trasforma in un colore dignitoso, morale, a differenza del rosso, che nella moda maschile è ancora un piccolo tabù, per quanto sia sempre il colore preferito dai bambini. Esistono davvero le preferenze individuali, oppure per i colori sono quelle sociali a prevalere? Probabile la seconda ipotesi.

Se in occidente è il blu a trionfare, in Giappone è il bianco, seguito dal nero e dal rosso; in quella cultura l’attenzione è posta più sul colore opaco che su quello brillante, scarsa in occidente. Oggi il blu in tutte le sue sfumature (ceruleo, elettrico, indaco, cobalto, blu notte, azzurro, zaffiro, ecc.) è il colore più utilizzato nell’abbigliamento, davanti al bianco, al nero e al beige. Però il suo significato è cambiato: ora indica calma, pace, distanza. È un colore “neutro”.

Non ferisce, non disgusta, non offende più. Anche il suo legame con l’acqua è recente, così come la sua percezione come colore freddo è puramente convenzionale. Nel Medioevo e nel Rinascimento era un colore caldo, e solo a partire dal XIII secolo si è via via raffreddato; per Goethe è ancora caldo. Poiché i colori non sono mai pensabili da soli, ma nelle relazioni reciproche, per capire cosa è successo e succederà bisognerà parlare del suo opposto. Il rosso. Altra bella storia.

Cosa leggere per saperne di più

M. Pastoureau, Blu. Storia di un colore (Ponte alle Grazie) è una sintesi completa della storia di questo colore e del suo uso, Pastoureau è prima di tutto uno storico, non uno scienziato; P. Ball, Colore una biografia (Rizzoli) è un libro magnifico e ricchissimo sulla chimica del colore e non solo, indispensabile per capire il colore e la sua storia a partire dalla materia; sull’arte, e non solo, l’ampio studio Colore e cultura di J. Cage (Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), uno dei due o tre libri importanti da leggere sul tema generale del colore; tre libri di taglio più culturale: Kassia St Clair, Atlante sentimentale  dei colori (Utet) dove si raccontano tante storie strane riguardo il blu; R. Falcinelli, Cromorama (Einaudi) è un Baedecker del colore: icastico, efficace, ben scritto; D. Scott Kasan e S. Farthing, Sul colore (Einaudi) è un libro rapsodico sul tema generale, ma piacevole.

Questo articolo è apparso in forma più breve su “La Repubblica” che ringraziamo.

 

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