Colori 1. Storia del Rosso

9 Luglio 2022

È il colore archetipico. Per dire “colorato” e “bello” nelle lingue antiche si dice: “rosso”. Colore dell’amore e dell’erotismo, del pericolo e del divieto, del dinamismo e della creatività, della gioia e dell’infanzia, del lusso e della festa, del sangue e del fuoco, dell’inferno e della materia. Nelle grotte di Altamira, a Chauvet, a Cosquer, a Lascaux e a Pech-Merle, trentamila anni fa i nostri progenitori col rosso ricavato dall’ematite, uno dei minerali di ferro più diffusi, fissavano sulla roccia i profili degli animali cacciati. Venticinquemila anni prima che qualsiasi abito fosse colorato, il rosso c’era già. Per millenni è stato l’unico colore degno di questo nome. Non il rosso inteso come concetto, o idea, ma il rosso associato agli oggetti e agli esseri viventi: elemento naturale. Prima dell’Alto Medioevo il colore è infatti ancora una cosa.

Oggi diciamo “rosso” e abbiamo l’idea del rosso, come spiega Ludwig Wittgenstein in Osservazioni sui colori. Per gli uomini dell’antichità il singolo colore non esisteva come entità astratta, e comunque sempre in relazione agli altri colori. Gli studiosi distinguono infatti tre aspetti: la tinta, il colore propriamente detto, per cui differenziamo il rosso dal blu; la saturazione, per cui si distingue il rosa dal rosso; la luminosità, che è il parametro per cui si passa dal nero al bianco, dallo scuro al chiaro, e viceversa. Fare la storia del colore vuol dire considerarlo come un fenomeno culturale; questo implica la memoria, l’immaginazione e il sentimento di ogni singolo colore.

Fino al XII secolo dell’età cristiana il rosso non ha avuto rivali. I suoi due principali referenti sono il fuoco e il sangue, e forse proprio per questo il rosso, pur nel suo massimo trionfo, è insieme positivo e negativo: colore a due facce. I Greci amano i colori vivi e pieni di contrasto, e il rosso è abbinato al nero; così compare nella ceramica, e anche nelle statue e nei templi: tutto è colorato. Roma, poi, è una città rossa; domina la triade bianco-rosso-giallo e i romani gli attribuiscono la simbologia più forte che a qualsiasi colore; tuttavia presso di loro gli animali a manto fulvo o rosso destano inquietudine, e negli esseri umani la chioma rossa gode di pessima reputazione: nella donna è segno di dissolutezza.

I capelli rossi saranno a lungo ritenuti un segno negativo anche nel mondo germanico-scandinavo: Giuda è raffigurato coi capelli rossi. Dal canto suo la Bibbia è povera di colori, tanto che la traduzione in latino, avvenuta tra il IV e V, comporta l’aggiunta di vari colori. Sarà quindi la diffusione del sistema dei colori liturgici in Occidente, a partire dal XII secolo, e poi l’affermarsi dei blasoni araldici, a portare alla definizione dei colori come categorie astratte: il rosso, il verde, il giallo, il blu. Oggi noi sottovalutiamo l’importanza dell’araldica, eppure per vari secoli è stato uno dei principali codici di comunicazione visiva in Occidente.

Il cristianesimo diventa allora la religione del rosso e del sangue. Prima di tutto c’è il sangue di Cristo, il Preziosissimo sangue, e quello dei martiri, poi il legame tra il sangue e il vino, per quanto fino a epoca avanzata nel Medioevo era più bianco che rosso. Il fuoco è quello dell’Inferno, e rosso è anche il drago dell’Apocalisse. Poi c’è il rosso ecclesiastico, che deriva dalla porpora romana; questo colore ha una gloriosa storia a sé dentro quella del rosso, così come il vermiglio, lo scarlatto, il rosa e il rubino, tutte gradazioni di rosso. Simbolo del potere, il rosso è amato dall’aristocrazia grande e piccola: stoffe, vestiti, ornamenti, pietre preziose, gioielli, decorazioni, emblemi.

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L’araldica è il regno del rosso, ma anche i romanzi medievali sono pieni di questo colore legato all’amore e alla bellezza. L’oggetto mitico è il Sacro Graal, la coppa dell’Ultima Cena o, secondo altre versioni, il recipiente in cui Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Gesù sul Golgota. All’improvviso, all’apice del suo successo però appare un temibile concorrente: il blu. Maria, sino al XII-XIII secolo nelle immagini è vestita di nero, grigio, marrone, viola e verde scuro; ora invece la Madonna è ricoperta di blu e poi d’azzurro. Siamo entrati nell’epoca in cui i vestiti e i tintori dominano sovrani. Dai colori vivi e accesi del Medioevo si passa alle tonalità scure; appare il rosso-marrone, il più bello dei colori unito a quello che appare il più brutto.

L’odio per il rosso comincia con i riformatori religiosi del Cinquecento. C’è una ragione economica: le spese dei beni di lusso, compresi vestiti e tinture, rischiano di essere eccessive: è un investimento reputato improduttivo. Il rosso non scomparirà, ovviamente, sarà il colore degli artisti, dei pittori; nei loro quadri celebrerà il suo trionfo. Un altro colpo gli sarà però inferto dalla nuova scienza. Newton nel 1666 scopre lo spettro e lo detronizza. Dal centro del sistema (bianco, giallo, rosso, verde, blu e nero), nella classificazione dello scienziato inglese si trova a uno degli estremi (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto); scompaiono anche il bianco e il nero, ora non più colori, e ne appare uno inesistente, o meglio sin lì solo materia colorante: l’indaco.

Tra alti e bassi continui il rosso approda all’Ottocento per trasformarsi in colore politico, una storia non lineare. Rischia infatti nel 1848 di diventare il colore della rivoluzione in Francia, ma il poeta Lamartine impone il tricolore; nel 1871 con la Comune di Parigi lo diventa. Sarà così il colore della bandiera dei socialisti e dei comunisti, dalla rivoluzione russa a quella cinese, sino al Maggio ’68. Nel 1969 Brent Berlin e Paul Kay pubblicano il famoso Basic Color Terms. Hanno studiato oltre cento lingue e stabilito che tutte hanno la parola bianco e nero; se c’è un terzo colore, è il rosso; seguono il verde e il giallo, poi il blu.

Ricerca contestata da più parti, qualcosa però lo dice: il rosso è sempre importante. E oggi? Michel Pastoureau sostiene che non è più il nostro colore preferito, che è stato sopravanzato in molti campi dal blu e anche dal verde, eppure continua ad avere una indubbia rilevanza simbolica. Carico di storia è ancora con noi, ma forse la sua ambivalenza gli ha nuociuto: simbolo della vita, lo è anche del pericolo. Il suo concorrente diretto, il blu, non funziona così. Forse la sua lunga storia, scrive lo studioso, gli grava sulle spalle ed è un fardello troppo pesante da portare per le società odierne. Forse gli stiamo già girando le spalle. Forse.

Cosa leggere per saperne di più

Il libro più ricco di informazioni, storie, analisi e notizie è: Rosso. Storia di un colore (Ponte alle Grazie) di Michel Pastoureau, uno dei pochi storici contemporanei del colore; dello stesso autore si legga: L’arte araldica nel Medioevo (Einaudi), argomento da cui lo storico francese è partito per le sue ricerche sul colore; e anche: I colori del nostro tempo e Un colore tira l’altro (Ponte alle Grazie) due divertenti storie autobiografiche della passione per il colore; su scarlatto e vermiglione si veda: K. St Clair, Atlante sentimentale dei colori (Utet); sul rosso nella pittura il fondamentale libro di G. Di Napoli, Il colore dipinto (Einaudi); il classico filosofico che non può mancare in un piccolo scaffale dedicato al colore: L. Wittgenstein, Osservazioni sui colori (Einaudi); sul rosso in Cina: Lia Luzzatto, Cina: cronaca dei cinque colori (Franco Angeli), una studiosa del colore nella moda che si è cimentata con un bellissimo e misterioso tema: il colore in Oriente.

Questo articolo è apparso in forma più breve su “La Repubblica” che ringraziamo.

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