Brigata Bastardi: a caccia dell'atomica nazista

17 Luglio 2022

Die Stunde Null, l’ora zero, che segnò la fine della Seconda guerra mondiale in Europa, e la dissoluzione del Terzo Reich, era scattata alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 con la firma, avvenuta nel Quartier generale supremo della forza di spedizione alleata a Reims, in Francia, apposta sulla dichiarazione di resa incondizionata della Germania dal generale Alfred Jodl, capo di stato maggiore dell’Oberkommando der Wehrmacht. La totale cessazione delle attività belliche tedesche fu stabilita dai generali Walter Bedell Smith, Ivan Susloparov e François Sevez, in rappresentanza delle potenze vincitrici, per le 23:01 del giorno successivo.

La cerimonia della firma – sarà ratificata a Berlino l’8 maggio, da ufficiali tedeschi di più alto rango, quando, secondo il fuso orario di Mosca, era già il giorno dopo (per questo, in Russia, l’anniversario della vittoria viene celebrato il 9 maggio). Questa volta a firmare l’atto di resa definitivo saranno, da parte tedesca, il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, il generale Hans-Jürgen Stumpff e l’ammiraglio Hans Georg von Friedeburg, alla presenza del generale sovietico Georgij Zhukov e del vice del Comandante della forza di spedizione alleata, il Maresciallo dell’aria britannico Arthur W. Tedder.

È così che, da allora, nei libri di storia – che siano sussidiari illustrati o pregnanti tomi universitari – saranno analizzate e celebrate soprattutto le grandi battaglie (dallo sbarco in Normandia a Stalingrado, passando per la sanguinosa offensiva delle Ardenne) che hanno portato, sul campo, alla vittoria degli Alleati. Ma cosa accadeva dietro le quinte? Poco si sapeva delle battaglie combattute nell’ombra dai servizi di intelligence, fin quando gli storici non hanno potuto mettere le mani su importanti, talvolta inquietanti, documenti desecretati, nel tempo, col contagocce. 

Una delle più drammatiche e audaci operazioni della Seconda guerra mondiale, di cui oggi abbiamo conoscenza, fu quella relativa al frenetico tentativo di bloccare lo sviluppo degli studi sulla bomba atomica che gli scienziati tedeschi avevano intrapreso ben prima che gli Alleati si rendessero conto di quanto i nazisti fossero avanti nelle loro ricerche, e il cui uso avrebbe potuto non solo costare perdite enormi di vite umane, ma soprattutto avrebbe contribuito alla sicura vittoria delle forze dell’Asse. 

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Per questo venne creata una speciale squadra scientifica, battezzata “Unità Alsos”, il cui obiettivo era quello di bloccare, con ogni mezzo, lo sviluppo del progetto della bomba atomica nazista. La storia avventurosa dell’Operazione Alsos è oggi raccontata da Sam Kean, fisico e letterato, autore di La brigata dei bastardi (editore Adelphi, traduzione di Luigi Civalleri), in cui ricostruisce il contesto strategico e scientifico in cui si muoveva il team, una brigata eterogenea composta da militari, scienziati, premi Nobel, figli di papà, persino una star del baseball, il cui mandato non escludeva il ricorso a mezzi estremi quali sabatoggi, rapimenti, omicidi.

Il Grifone e l’inverno della Terra

Se dovessimo indicare una data in cui tutto cominciò, dovremmo probabilmente parlare del 6 gennaio 1939 – giorno del solstizio d’inverno, quello in cui, come qualcuno fece notare, «iniziava l’inverno della Terra» – quando Paul Rosbaud, l’editore della rivista scientifica Die Naturwissenschaften, fece saltare dal numero in stampa un articolo già composto in bozze sostituendolo, in fretta e furia, con un contributo del professor Otto Hahn, direttore dell’Istituto Kaiser Wilhelm a Berlino, futuro Premio Nobel per la chimica, in cui descriveva i risultati di uno studio del dicembre 1938 sulla fissione dell’uranio, alla cui stesura avevano partecipato l’assistente Fritz Strassmann, ma soprattutto la sua più stretta collaboratrice, Lise Meitner, una delle più brillanti e visionarie menti della fisica nucleare – definita da Einstein «la Marie Curie tedesca» – che, però a causa delle sue origini ebraiche, non solo non aveva potuto ricevere il credito per quella ricerca, anzi aveva dovuto emigrare e rifugiarsi in Svezia per sfuggire alla cattura da parte della Gestapo. 

Se la notizia dello studio di Hahn fu accolta con emozione dalla maggior parte della comunità internazionale dei fisici, ci fu anche chi, fra loro, cominciò ad avere brutti presentimenti. Tutti sapevano, ovviamente, come l’uranio fosse un materiale abbondante in natura e non fosse difficile ottenerne grandi quantità, così come sapevano, grazie ai lavori di ricerca iniziati nel 1934 da Enrico Fermi, che la sua fissione avrebbe liberato enormi quantità di energia, più di quanto l’umanità potesse, all’epoca, maneggiare in sicurezza. E non era una notizia rassicurante.

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Comunque sia, per Hahn quello non fu solo un momento di gloria: alcuni fisici nazisti accusarono lo scienziato e il suo editore di tradimento. La fretta con cui l’articolo era stato stampato si prestava a allertare i nemici del Reich, impedendo che il segreto sulla fissione dell’uranio rimanesse in mani tedesche. In effetti, non avevano tutti i torti. Già, perché Paul Rosbaud non era solo un giornalista e editore, ma era anche un informatore degli inglesi, il cui nome in codice era “Grifone”. E, sì, aveva proprio voluto allertare la comunità scientifica internazionale del pericolo che si profilava all’orizzonte. 

Nella sua veste di informatore sarà ancora lui ad allertare gli Alleati che, a fine settembre 1939, uno scienziato esperto di aerodinamica, tale Wernher von Braun – colui che, nel dopoguerra, passato armi e bagagli agli americani, grazie ai suoi studi sui razzi, diverrà l’ispiratore di quel Programma Apollo che permetterà alla Nasa di sbarcare sulla Luna – aveva “stranamente” convocato numerosi colleghi a Peenemünde, una località sulla punta settentrionale di una sperduta isola del Mar Baltico che, dal 1937, ospitava una base di sperimentazione missilistica.

Non solo, informava anche che, da qualche tempo, i locali osservavano la formazione di strane scie di vapore nel cielo, seguite da improvvise esplosioni. Non potevano saperlo, scrive Kean, ma erano testimoni della nascita delle Vergeltungswaffen, le “armi della vendetta”, meglio note con le sigle V1 e V2, che di lì a poco avrebbero terrorizzato Londra, ma non solo. Come quando il 16 dicembre 1944, in concomitanza con il primo giorno dell’offensiva delle Ardenne, una V2 centrò in pieno il tetto del cinema Rex, ad Anversa, in Belgio, dove 1100 persone stavano assistendo alla proiezione del film western The Plainsman, uccidendo 567 spettatori, di cui 296 militari, e distruggendo 11 palazzi adiacenti. Ci volle più di una settimana per recuperare i corpi delle vittime dalle macerie. Fu il più devastante singolo attacco missilistico di tutta la guerra. 

Il Progetto Manhattan e la fine dello splendido isolamento

Cosa sarebbe dunque accaduto se i nazisti avessero installato una testata nucleare su una V2 o, peggio, su una V3, la bomba volante che, all’epoca, era ancora in fase di studio? Probabilmente quello che ipotizzeranno due romanzi, capolavori di ucronia: La svastica sul sole di Philip K. Dick, ma soprattutto Fatherland di Robert Harris, in cui lo scrittore inglese ipotizza che la Germania nazista abbia vinto la Seconda guerra mondiale, che Joseph Kennedy (il padre di John e Bob), di note simpatie non proprio democratiche, fosse diventato Presidente degli Stati Uniti, e che sul trono d’Inghilterra sedesse il sovrano filo tedesco Edoardo VIII (che non avrebbe abdicato), sposato con quella Wallis Simpson che era stata intima, prima di Galeazzo Ciano e poi, per par condicio, di Joachim von Ribbentrop, futuro Ministro degli Esteri del Reich, all’epoca in cui era ambasciatore a Londra, e ricopriva la signora di rose rosse.

Il fatto era che, praticamente, fino al 1942 gli americani, nel loro splendido, ricorrente isolazionismo, avevano preso sottogamba il problema. Di ricerca nucleare ne discutevano, sì, già dal 1939, da prima dell’attacco a Pearl Harbor e, a questo proposito avevano creato un programma di sperimentazione e sviluppo battezzato Progetto Manhattan che, però, fino a quel 1942 si era trascinato in una serie di conferenze e rapporti ufficiali in cui si giungeva alla conclusione che sarebbero stati necessari altri incontri e altri studi. Il fatto che i politici (attenti più al loro elettorato isolazionista) non capissero quanto fosse urgente mettersi seriamente al lavoro, faceva infuriare i fisici nucleari, soprattutto, nota Kean, quelli scappati dall’Europa nazificata, i quali ben sapevano che i tedeschi del “Club dell’Uranio”, stavano lavorando alla fissione ormai da almeno tre anni e potevano contare sul supporto tecnico delle migliori industrie del mondo. «Nessun altro paese poteva competere con la potenza intellettuale e industriale della Germania, senza parlare della sua diabolica volontà di scatenare una guerra».

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Solo in seguito all’attacco a Pearl Harbor del 6 dicembre 1941 – che “sveglierà il gigante che dormiva” – gli americani si renderanno conto che fino a quel momento avevano scherzato e che, da allora in avanti, non potevano più permetterselo. Ciononostante trascorse ancora quasi un anno prima che, nel settembre del 1942, venisse nominato a capo del progetto di costruzione della bomba atomica il generale Leslie Groves, uno dal carattere difficile, conosciuto come il miglior gestore di progetti e il peggior rompiscatole di tutto l’esercito. E niente sarà più come prima.

Werner Heisenberg deve morire

L’obiettivo numero uno dell’Operazione Alsos si chiamava Werner Heisenberg, uno dei più brillanti fisici dell’epoca, precursore, nel 1925, della meccanica quantistica e del conseguente “principio d’indeterminazione” (enunciato nel 1927), studi che gli varranno il premio Nobel per la fisica nel 1932. A ondate successive i comandi alleati prendevano in considerazione l’ipotesi di rapire lo scienziato, ma ogni volta il progetto veniva accantonato per obiettive difficoltà militari o politiche. Fino al 1944, quando con le notizie dell’accelerazione del programma atomico tedesco che giravano sempre di più negli ambienti scientifici, gli americani decisero che era ora di finirla con le indecisioni e di passare alle maniere forti.

Fu così che il generale Groves e Wild Bill Donovan, il leggendario capo dell’OSS, il servizio segreto antenato della CIA, si misero a studiare un metodo per catturare Heisenberg, andando a prelevarlo con un commando nel suo laboratorio, a 80 chilometri dal confine svizzero. La missione doveva essere affidata a Carl Eifler, uno che aveva combattuto i giapponesi nella giungla birmana, conosciuto come “l’uomo più duro e spietato di quella gabbia di matti dell’OSS”. Eifler chiese istruzioni: e se ci prendono? La risposta fu chiara: fai in modo che la Germania non abbia più a disposizione quel cervello. D’accordo, ma se mi prendono? Noi non ti abbiamo mai visto, né conosciuto. Perfetto. Mettiamoci al lavoro. 

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Ma poi arrivarono i dubbi. Persino per quei matti dell’OSS il piano era quanto meno strampalato. La Germania non era la giungla birmana da cui si poteva uscire ammazzando la gente a colpi di machete se ci si trovava alle strette. Il rapimento di Heisenberg richiedeva cautela e astuzia, meno violenza e più intelligenza, come ricorda Kean nel suo libro. L’occasione arrivò grazie a un invito che Paul Sherrer, fisico del Politecnico di Zurigo, l’ateneo dove si era laureato Einstein, aveva fatto a Heisenberg per tenere una conferenza, invito che lo scienziato tedesco aveva accettato ben volentieri perché ormai si sentiva sempre più isolato dalla comunità scientifica internazionale. 

Così, a Zurigo, gli americani invieranno una strana coppia formata dal fisico di origine olandese Samuel Goudsmit, anch’egli membro dei “cacciatori” del gruppo Alsos, e da Moe Berg, apparentemente improbabile quanto efficace spia atomica, stella del baseball, ex ricevitore della Major League, laurea in lingue, magna cum laude, a Princeton, (parlava correntemente italiano, francese, greco, spagnolo, tedesco, e aveva grande dimestichezza con il latino, il greco antico e il sanscrito: la sua storia sarà oggetto di una dettagliata biografia scritta da Nicholas Dawidoff, The Catcher was a Spy, “Il ricevitore era una spia”, che sarà anche trasposta in un film dal titolo omonimo). 

Berg aveva il compito di assistere alla lezione facendo finta di essere un dottorando svizzero interessato alla meccanica quantistica, e doveva valutare se dalle parole di Heisenberg fosse trapelata una qualche indicazione sul fatto che la Germania fosse vicina a realizzare la bomba atomica. In quel caso, Berg, a cui avevano affidato una Beretta calibro 9 Parabellum, avrebbe dovuto mettere Heisenberg hors de combat, il che voleva dire una cosa sola: ucciderlo.

Per sua fortuna, Berg valutò che i tedeschi non erano vicini allo scopo e non passò all’azione. E Heisenberg, ignaro del pericolo che aveva corso, ripartì da Zurigo per passare il Natale in famiglia portando con sé giocattoli per i bambini, una crema di bellezza e un maglione per la moglie, articolo quest’ultimo che era vietato importare in Germania, così per farlo passare alla dogana dovette indossarlo facendo finta che fosse suo.

Farm Hall e l’Operazione Epsilon

Nella primavera del 1945, alla fine della guerra, ricorda Kean, Alsos aveva messo le mani su decine di fisici nucleari tedeschi, ma alla fine fu deciso di tenerne in custodia solo dieci, catturati tra il primo maggio e il 30 giugno 1945. Saranno internati dal 3 luglio 1945 al 3 gennaio 1946. Si trattava di Walther Gerlach, Paul Harteck, Kurt Diebner, Carl Friedrich von Weizsäcker, Karl Wirtz, Erich Bagge, Horst Korsching, i premi Nobel per la fisica Max von Laue, Otto Hahn e, naturalmente, Werner Heisenberg.

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Quest’ultimo era stato rintracciato dal colonnello Boris Pash, il comandante della missione Alsos (un militare temerario, di radici russe, che aveva combattuto nell’Armata bianca contro i comunisti durante la Rivoluzione d’ottobre) nel suo chalet sulle Alpi bavaresi dove sapeva che, prima o poi, qualcuno sarebbe andato a prenderlo. La sua grande speranza era che gli americani arrivassero prima dei sovietici.

Tutti quegli scienziati erano convinti che gli americani avrebbero cercato di carpire i loro segreti atomici, mentre, in verità, da loro non avevano ormai più molto da imparare: volevano solo toglierli dalla circolazione perché non finissero nelle mani dei russi. Ma il fatto era che non sapevano bene dove “parcheggiarli”. Alla fine decisero di darli in custodia agli inglesi che li alloggiarono a Farm Hall, un’elegante villa a nord di Londra, dove Heisenberg passava il tempo al piano suonando Beethoven, e Hahn potava le rose del giardino, mentre, come racconta Kean, un militare britannico leggeva Dickens a alta voce per aiutarli a migliorare il loro inglese. 

Quello che i dieci scienziati ignoravano, era che i servizi segreti inglesi avevano tappezzato la villa di microfoni per capire cosa si sarebbero detti in quella loro apparente libertà di comunicare, quali fossero le loro eventuali responsabilità nel regime nazista, e soprattutto quali sarebbero state le loro future intenzioni (le trascrizioni delle registrazioni segrete di Farm Hall e dell’Operazione Epsilon, sono state desecretate nel 1992 e si possono trovare qui).  

Gli scienziati non ebbero mai alcun sentore dell’esperimento che si consumava alle loro spalle. Significativo questo dialogo che si trova nelle trascrizioni: Diebner: «Mi chiedo se ci sono dei microfoni istallati qui». Heisenberg: «Microfoni istallati? Ma no, gli inglesi non sono così astuti dopo tutto. Non credo conoscano i veri metodi della Gestapo. Sono un po’ arretrati sotto questo punto di vista».

Epilogo

La notizia dello sgancio della prima bomba atomica il 6 agosto 1945, prese gli scienziati tedeschi alla sprovvista. Furono informati dell’attacco, intorno alle 19:45 circa, da un ufficiale britannico. La reazione di Heinsenberg fu che si trattasse di semplice propaganda: se la Germania non era riuscita a costrure la bomba atomica, nessun altro ci poteva riuscire; sicuramente gli Alleati avevano appiccicato l’etichetta “nucleare” a un’arma convenzionale molto potente. 

Le conversazioni feroci registrate dagli inglesi andarono avanti fino alle nove, quando andò in onda il radiogiornale della BBC. Il conduttore, ricorda Kean, entrò nel dettaglio in modo convincente, parlando anche di fissione dell’uranio. All’improvviso, a Heisenberg e agli altri scienziati tedeschi fu finalmente chiaro che la Germania aveva, veramente, perso la guerra. «Prima di quel giorno», ebbe a scrivere Samuel Goudsmit, «credevano di avere almeno vinto la guerra dei laboratori». Ora anche quell’illusione era finita. 

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