Angelo Guglielmi: la televisione come opera d'arte d'avanguardia

12 Luglio 2022

Angelo Guglielmi, nato ad Arona nel 1929 e scomparso l'11 luglio 2022, non era un artista e forse non avrebbe apprezzato l'etichetta. Era prima di tutto un critico letterario (da Avanguardia e sperimentalismo, 1964, a Vent'anni di impazienza, 1964, da La letteratura del risparmio, 1973, a Il piacere della letteratura, 1981) e un intellettuale militante. Con Luciano Anceschi, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, è stato tra i fondatori del Gruppo '63, ovvero la più significativa avanguardia artistica della seconda metà del Novecento. È stato anche dirigente televisivo: in particolare ha diretto Raitre dal 1987, quando nel quadro della lottizzazione politica delle cariche pubbliche la rete venne affidata al PCI, fino al 1994.

Ma quello che ha realizzato Guglielmi a Raitre è stata un’autentica opera d'arte, che ha inciso sul nostro rapporto con la realtà. Il principale bersaglio polemico del Gruppo 63 era il neorealismo, ovvero una corrente artistica (sostenuta dal PCI di Palmiro Togliatti) che privilegiava i contenuti (i valori della resistenza, la forza del popolo) rispetto alla forma. Ponendosi nel solco delle avanguardie artistiche del Novecento, e della critica alla società dei consumi della Scuola di Francoforte, il Gruppo 63 rifiutava la tradizione letteraria degli anni Cinquanta a favore di un'arte aperta al confronto con un presente in rapida evoluzione, da indagare attraverso una radicale sperimentazione di forme innovative.

Angelo Guglielmi, Avanguardia e sperimentalismo

I capolavori nati nell'orbita del Gruppo 63, dal punto di vista artistico, sono probabilmente La ragazza Carla (1962), il poemetto in cui Elio Pagliarani narra l'alienazione di una giovane impiegata negli anni del boom; e Fratelli d'Italia (1963, poi riscritto più volte), il romanzo-fiume in cui Alberto Arbasino racconta l'epopea estiva di un gruppo di giovani intellettuali alla scoperta del mondo (e della mondanità). Per le avanguardie, l'arte non è lo specchio della realtà, quanto piuttosto uno strumento per creare una realtà diversa, o aprire la realtà a un diverso sguardo. Non tanto un'occasione di conoscenza e consapevolezza, quanto uno strumento di cambiamento. Sono gli anni in cui Umberto Eco teorizza l'opera aperta, che necessita della collaborazione attiva e della partecipazione del pubblico. 

La Rai degli esordi si muoveva all'interno del solco pedagogico (e ideologico) del Novecento. Come ha spiegato lo stesso Guglielmi, 

“La Rai di Ettore Bernabei era una Rai educativa, e allora l’intento era anche pregevole. Come si diceva: bisognava far scendere gli italiani dagli alberi. Nel 1955, quando fu inaugurato il servizio pubblico televisivo, l’Italia contava infatti un 55 per cento di analfabeti. Molte persone hanno appreso dai documentari l’esistenza dei deserti o dei grattacieli; guardando la tv hanno capito chi fossero Stendhal o Dostoevskij. E Shakespeare, grazie al teatro in tv del venerdì. Certo, quella tv usava un linguaggio magari sporco e brutto, ma permetteva agli italiani di intendersi da nord a sud. E sì, poi era anche un organo spartitorio”.

Gli anni Ottanta, grazie anche al talento cinefilo di Carlo Freccero (Savona, 1947), avevano visto l'affermazione delle tv commerciali di Silvio Berlusconi, con una programmazione determinata dal gusto del pubblico, alla ricerca del cortocircuito perfetto tra i contenuti offerti e le inserzioni pubblicitarie. Su quei canali era esplosa la provocazione di Antonio Ricci (Albenga, provincia di Savona, 1950), che dopo la collaborazione con Beppe Grillo ha inventato format di grande successo esasperando le caratteristiche (o forse gli irredimibili difetti) del varietà e dell'informazione televisiva, con le tette e i culi di Drive In (1983-88) e la fake info di Striscia la notizia (in onda dal 1988), trasfigurando una realtà televisiva di secondo grado.

Da questo punto di vista, la tv berlusconiana spingeva sul pedale della fiction, di primo (Freccero) o di secondo (Ricci) grado. Tutto questo arsenale aveva l'obiettivo di accogliere alle migliori condizioni la forma suprema di fiction, quella che accende i desideri e dunque può avere un impatto immediato sulla realtà: i “consigli per gli acquisti”, i consumi che dovrebbero trasformare la nostra vita quotidiana nel sogno patinato degli spot. L'8 agosto 1991 attraccò a Bari il mercantile Vlora: era salpato da Durazzo con 20.000 albanesi, irresistibilmente attratti dal miraggio catodico e dal modello di vita che luccicava negli spot pubblicitari.

Il rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione mediatica era cambiato e qualcuno se ne era accorto. Nel 1957 Roland Barthes aveva pubblicato Miti d'oggi, e nel 1967 Guy Débord La società dello spettacolo. Jean Baudrillard metteva a fuoco il concetto di simulazione.

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In questo scenario, la Raitre di Angelo Guglielmi fu una perfetta opera d'arte sperimentale. Uno dei grandi temi delle avanguardie novecentesche, fin dai collage di Braque e Picasso, è stato il superamento della barriera tra arte e vita. Esemplari nella pratica del Gruppo 63 i romanzi di Nanni Balestrini, collage di frasi rubate alla parlata quotidiana e rimontate in forma narrativa, come in Vogliamo tutto (1971), racconto in prima persona delle lotte operaie alla Ideal Standard e alla FIAT da parte del giovane Alfonso.

Nel giro di pochi anni, Guglielmi rianimò la televisione italiana con robuste iniezioni di realtà, trasformando al contempo la realtà in spettacolo.

Samarcanda (1987), condotta da Michele Santoro, diede per la prima volta voce alla “piazza”, che veniva proiettata in studio su grande schermo, senza “particolari cautele”, usando la diretta proprio per “evitare le misure preventive”. Come spiegò il conduttore, “Quando scegliamo di far raccontare a qualcuno una storia, ci preoccupiamo soprattutto di verificarne la validità, non andiamo a fare ogni volta le indagini per stabilire se chi ce la racconta è o meno un delinquente”. Qualche anno più tardi, sulla sua scia Gad Lerner in Milano, Italia (1992) avrebbe dato voce al disagio di Tangentopoli, con i protagonisti degli scandali milanesi e i rappresentanti delle categorie coinvolte, in discussioni spesso accese.

In quello stesso 1987 Corrado Augias, con Telefono giallo, affrontava casi di cronaca irrisolti, a partire dalle scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Un giorno in pretura, curata da Ninì Perno e Roberta Petrelluzzi, aprì nel 1988 le porte dei tribunali italiani alle telecamere, offrendo sintesi di processi più o meno illustri senza quasi alcun commento. Chi l'ha visto?, condotto nella prima serie da Donatella Raffai, insegue dal 1989 sparizioni, rapimenti, omicidi (e femminicidi), affiancandosi (o sostituendosi) a forze dell'ordine e assistenti sociali. . 

È una televisione che si nutre di realtà e al tempo stesso la manipola. Da un lato la distorce: che cosa resta di decine di udienze nella breve sintesi televisiva? E dall'altro la trasforma: chiede allo spettatore una collaborazione attiva e, anche quando non lo fa esplicitamente, la presenza delle telecamere ha un impatto inevitabile: la spettacolarizzazione dei processi di Mani Pulite è solo l'esempio più clamoroso. 

C'erano stati alcuni precedenti, soprattutto in radio (Chiamate Roma 3131 su Radio2 dal 1969 al 1986, poi l'esplosione delle cosiddette radio libere e il “microfono aperto” di Radio Radicale nell'estate 1986). Ma forse bisogna pensare al documentario Comizi d'amore (1965), dove Pier Paolo Pasolini aveva girato le spiagge chiedendo agli italiani la loro opinione sulla sessualità, sull'amore e sul buon costume. E c'è anche il precedente dei dibattiti trash di Gianfranco Funari.

L'irruzione del reale nello spazio dell'immaginario (tra intrattenimento e informazione, senza filtri narrativi) operata da quella stagione di Raitre ha rimodulato la nostra percezione del mondo.
Per Guglielmi si trattava di muoversi su un doppio fronte. Da un lato, ha teorizzato, 

“la televisione è un linguaggio. Se si adopera la televisione come una sala cinematografica o, come si faceva una volta, per trasmettere il teatro di prosa, diciamo che si usa la televisione in un modo non del tutto proprio. In ogni caso non si usa il linguaggio televisivo, ma si usa la televisione come contenitore di linguaggi 'altri'”. 

L'altro fronte è proprio quello narrativo, che riemerge imprevedibilmente proprio dalla presa diretta. Guglielmi amava le vicende che emergevano da Chi l'ha visto? perché gli ricordavano i grandi racconti popolari alla Balzac (del resto alcuni “casi” hanno un respiro narrativo di vari decenni). La scoperta dello specifico del linguaggio televisivo riporta così in primo piano i generi, in nuove declinazioni.

C'è un altro ingrediente delle avanguardie che Guglielmi ha inserito nel mainstream. Una trasmissione come Quelli che il calcio... (1993) si permetteva di affrontare con leggerezza il principale rito nazionale. Da qualche anno, con Il processo del lunedì (1980) e le sue maschere grottesche, il genio di Aldo Biscardi aveva trasformato il dibattito sul calcio in purissima commedia dell'arte: il teatrino di Biscardi, serissimo e al tempo stesso comico, resta ancor oggi il modello di molti talk show politici, con il loro cast di caricature: vedi Bianca Berlinguer con Travaglio e Scanzi, Mieli e Corona. Grazie alla bonarietà milleusi di Fabio Fazio (Savona, 1964), il calcio – massimo simbolo di identità nazionale – è stato desacralizzato (Fazio ripeterà l'operazione con successo con un altro grande rito nazional-popolare, il Festival di Sanremo).

Con queste intuizioni, la Raitre inventata da Angelo Guglielmi non ha segnato solo il rinnovamento della televisione italiana, lanciando una serie di grandi talenti televisivi. È stata, nel suo complesso, una vera opera d'arte, dove la sperimentazione delle avanguardie si è annullata nel mainstream della televisione generalista, impattando sul nostro immaginario e sul nostro rapporto con il reale. 

Poi nel 2000 è arrivato il Grande fratello e la fiction ha definitivamente risucchiato la realtà. 

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