Anatomia di Dio

7 Luglio 2022

«Nella Bibbia, i piedi di Dio sono un elemento cruciale per la sua esistenza sociale – di più, essenziale per la sua esistenza, e pertanto i piedi diventano il particolare elemento fisico e fisiologico attraverso il quale egli si manifesta più spesso nel mondo». Così scrive la storica della religione e, direi, anche antropologa del mondo antico Francesca Stavrakopoulou, docente a Exeter di Bibbia ebraica e religione antica, nonché star di programmi culturali televisivi.

Stavrakopoulou esamina le membra divine partendo proprio dai piedi: ‘gambe e piedi’, ‘genitali’, ‘torace’, ‘braccia e mani’, ‘testa’. Dal basso verso l’alto, dai piedi alla testa procede la sua descrizione anatomica, seguendo lo stesso schema del testo medievale latino (1250) Membra Jesu nostri, musicato nell’omonimo oratorio di Dietrich Buxtehude (1680) in cui le sette cantate corrispondono ognuna a un membro del corpo di Gesù crocifisso: piedi, ginocchia, mani, costato, torace, cuore e testa (consiglio la splendida versione diretta da René Jacobs con membri della Schola Cantorum Basiliensis).

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Della fisicità di Gesù Cristo, corpo vivo e corpo morto, si era occupato qualche decennio fa lo storico dell’arte Leo Steinberg in quel capolavoro di analisi che è La sessualità di Cristo, pubblicato originariamente nel 1983 e in traduzione italiana dal Saggiatore nel 1986. Su quest’opera ha diretto la sua attenzione Marco Belpoliti su Repubblica e su Doppiozero, concludendo il pezzo con una preghiera alla casa editrice: «Per favore ristampate il libro di Leo Steinberg? È importante e unico». Bene. Ora non è più unico, per quanto straordinario, perché nel suo Anatomia di Dio Stavrakopoulou riprende proprio l’intuizione di Steinberg sul senso della fisicità del dio ebraico-cristiano riportandola da Cristo a Yahwe ed estendendola, oltre che alle parti genitali, a tutto il corpo divino.

Un dio forte e virile

Questa è la ricostruzione/interpretazione/storia concettuale del fenomeno che io vi ho visto; l’autrice, atea dichiarata, la racconta invece più come una sorta di soddisfazione della sua curiosità infantile, che la spingerà più tardi a chiedersi come mai ci si sia dimenticati del fatto che un dio privo di corpo, come il Dio ebraico viene configurato dalla teologia e dall’esegesi, influenzate non da ultimo dal platonismo, sia stato invece un dio molto carnale, una figura maschile con un corpo possente che viaggia, lotta, mangia, defeca, fa sesso ecc.

Il risultato del lavoro di Stavrakopoulou è un librone di quasi seicento pagine dedicato a presentare il Dio della Bibbia come una divinità dotata di un corpo umano preciso: non il vecchio dalla barba bianca che dà la vita a Adamo nella celeberrima rappresentazione di Michelangelo, quanto un dio possente dotato di forza e virilità, dalla pelle rossastra e radiante e dalla barba scura, arricciolata e imbrillantinata. La tesi dell’autrice è infatti che durante e dopo i secoli in cui vennero scritti i libri dell’Antico Testamento l’aspetto corporeo di questa divinità venne cancellato a favore di una lettura allegorica, simbolica, metaforica. I traduttori ci misero del loro nell’epurare il linguaggio e rendere presentabili alcuni termini, privilegiando l’astrazione alla concretezza, così che il risultato fu un testo biblico «sanificato» ed edulcorato, che comunque continua a presentare tracce, in molti passaggi, della materialità divina.

A queste si appella Francesca Stavrakopoulou, nonché alla mitologia e alla storia pre-biblica dell’antico sud-ovest asiatico (le dizioni «antico sud-est asiatico» o «vicino oriente», o anche il semplice «oriente» essendo «occidentocentriche» e cariche di visioni coloniali, e quindi da evitare).

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Bene. Su queste basi e servendosi delle ricerche e del ricco repertorio iconografico messo a disposizione dalla squadra di tecnici, redattori, grafici che ha lavorato a tutto il libro dietro le quinte, si procede a sezionare e osservare il corpo di Yahwe, dio ufficiale del popolo di Israele, dopo che nel primo millennio a. C. destituisce il precedente El dalla sua posizione.

Le citazioni che sorreggono l’argomentazione sono innumerevoli e sfuggono al giudizio e al controllo di ogni lettore non specialista, che si tenta in tutti i modi di catturare: lo dimostrano il piglio giornalistico e l’uso di espressioni del linguaggio comune, nonché gli incipit delle varie sezioni, tratte da esempi del contemporaneo; per es., il caso dei saccheggi di materiale archeologico preziosissimo compiuti dal generale israeliano Moshe Dayan, quello con la benda sull’occhio, per chi se lo ricorda, «corrotto collezionista di antichità» che arraffava per sé nei suoi sordidi viaggi.

La scrittura di Stavrakopoulou ha il tocco leggero che fa sì che la si legga volentieri, anche se talvolta ci si sente soffocare da dati e riferimenti poco noti: insomma un caso a sé di divulgazione scientifica – eroicamente tradotto da Leonardo Ambasciano e altrettanto eroicamente pubblicato da Bollati Boringhieri – di sapore americaneggiante, con quelle dimensioni gigantiche che sembrano incontrare il gusto di chi preferisce il basket e il football americano al calcio per il ridotto punteggio di quest’ultimo, troppo basso per dar soddisfazione ed essere immaginariamente tradotto in dollari.

Steinberg e la corporeità di Cristo

Sono partita da Steinberg e al suo La sessualità di Cristo desidero tornare per concludere. Non è chiaramente un libro destinato a un ampio pubblico. È il libro per studiosi e lettori raffinati, di uno studioso che ebbe per primo il coraggio di notare la sessualità di Cristo, bambino e adulto (sulla quale divagheranno anche Derrida o Didi-Huberman), nell’arte figurativa, e di comprenderne le motivazioni teologiche e filosofiche.

La tesi di Steinberg è che l’arte del Rinascimento produsse un ampio corpo di immagini devozionali in cui i genitali di Gesù Bambino e quelli del Cristo morto ricevono un’enfasi tale da far riconoscere una evidente ostentatio genitalium. La scoperta di Steinberg, per la quale egli venne insultato dalle gerarchie ecclesiastiche ma che appare validamente confermata dai suoi dati, consiste nell’aver compreso il desiderio degli artisti di dimostrare coi mezzi dell’iconografia la vera natura umana di Cristo. Null’altro vuol sancire, a suo avviso, l’esposizione del corpo nudo del neonato all’aria fresca del periodo di Natale ai pastori o ai potenti della terra, nelle varie adorazioni dei Magi, o addirittura l’indicazione esplicita dell’erezione del pene. Tramite la ostentatio genitalium si desidera sottolineare il verbo fattosi carne, la presenza reale della divinità che si è fatta corpo, il segno tangibile della realtà dell’incarnazione.

Il vero corpo maschile

Tuttavia la ostentatio genitalium – aggiungo – è qualcosa di più della semplice rappresentazione dell’incarnazione. È l’esaltazione del vero corpo maschile, la prova che Dio si è voluto incarnare in un corpo di maschio, in carne virile, perché solo questo, e non il parto da donna, garantisce all’umanità una nascita nuova, una nascita degna, una seconda nascita grazie alla quale soltanto si godrà dell’ambita vita eterna.

Si osservi lo sguardo indagatore dei Re Magi all’interno dell’inguine di Gesù, ben osservabile in innumeri dipinti citati da Steinberg, per esempio nell’Adorazione del Ghirlandaio del 1488. La rivelazione ai Magi è la dimostrazione ad oculos che il bimbo era nato completo in tutte le parti dell’uomo, del maschio. L’esaltazione della virilità di Cristo va ben oltre la sua incarnazione in corpo umano. Il corpo umano in forma di uomo è l’unico perfetto, come ben dimostra l’imbarazzo dei teologi di tutte le epoche alle prese col corpo femminile.

Imbarazzo per il quale l’ingenuo pittore dell’affresco sulla volta dell’abbazia francese di Saint-Savin-sur-Gartempe, dedicato alla creazione di Adamo, del XII secolo, trova un audace espediente risolutivo: dipinge Eva con la barba, senza organi sessuali e completamente somigliante ad Adamo, per significare che prima del peccato, quando era perfetto, l’uomo era asessuato – Eva e Adamo appaiono entrambi senza attributi sessuali – ma barbuto, quindi maschio (una perla scovata da Flavio Baroncelli).

La fisicità del dio di cui Francesca Stavrakopoulou descrive l’anatomia non ha motivazioni, non deve dimostrare nulla se non ciò che è: la rappresentazione di un dio fatto a immagine e somiglianza dell’uomo, pensiero cui arrivò Senofane più di duemila e cinquecento anni fa: «se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare… i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi…».

E così fanno gli uomini. La questione teorica sarebbe dunque chiedersi quali siano le motivazioni che spingono alla cancellazione del disegno del corpo e alla sostituzione del linguaggio realistico con il linguaggio metaforico. Forse Stavrakopoulou ce lo spiegherà un’altra volta, magari più in breve.

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